LA CHIESA AFRICANA INVOCA IL CONCILIO
ECUMENICO VATICANO III
Lo fa tramite un articolo scritto dall’Africano AGBONKHIANMEGHE
OROBATOR, pubblicato dalla RIVISTA “ CONCILIUM “ nell’ultimo numero
3/2012, intitolato: “ A CINQUANT’ANNI DAGLI INIZI DEL VATICANO II
(1962-2012). Glielo trascrivo:
“ RETROSPETTIVE SUL FUTURO
Impulsi di trasformazione del
Vaticano II
per il cattolicesimo in
Africa
Un resoconto di quanto è successo al concilio Vaticano II riporta alla
memoria il termine AGGIORNAMENTO come espressione caratterizzante
“per descrivere quello che il concilio stava facendo”. Rare sono le
lingue africane che traducono AGGIORNAMENTO o ne rendono il vario significato
nel loro vocabolario. Questa osservazione convalida il parere che il Vaticano
II ha scavalcato l’Africa. A giudicare dall’esiguo numero di vescovi indigeni,
“la presenza dell’Africa al Vaticano II
è stata marginale e per procura”; così
“l’Africa ha avuto poco effetto sul Vaticano II in sè”. Comprensibilmente,
rispetto all’ottimismo avutosi in
Occidente, i cristiani in Africa “non avvertirono la stessa affinità con il
concilio”. Paradossalmente, però, gli anni successivi sono stati testimoni di
una crescita fenomenale del cattolicesimo africano secondo modalità che “sono
diventate possibili solo per i mutamenti iniziati dal concilio”. Il Vaticano II
ha generato impulsi di grande rilievo
non per l’aggiornamento o il rinnovamento – dato che la chiesa in Africa era
ancora “una comunità neonata che cercava di trovare il suo posto in un
continemte in rapida evoluzione” - , ma per la crescita del cattolicesimo in
Africa.
I/ CONTESTO STORICO
Al momento della storica convocazione del Vaticano II da parte di
Giovanni XXIII, l’Africa era trasportata in un vortice di turbolenza storica,
rivoluzione politica e trasformazione religiosa. Tre eventi illustrano l’impeto
di questo mulinello. In primo luogo, in reazione al colonialismo oppressivo
europeo che “si era spartito ampie fette di Africa” al servizio degli interessi
economici e politici occidentali, l’Africa sta esperimentando un’effervescenza
di nazionalismo e di emancipazione politica. Non diversamente dalle chiese
africane, nuove nazioni stavano emergendo dalle brace morenti del colonialismo.
In secondo luogo, allo stesso modo, la teologia africana stava tracciando e
definendo i contorni della propria identità, anche se di un ordine diverso, nel
contesto delle culture e delle religioni indigene. In terzo luogo, direttamente
correlato al secondo fattore, le chiese in Africa stavano interrogando i loro
“progenitori” in vista di acquisire autonomia, individualità e fiducia in se
stesse. Questi eventi storici definiscono il contesto in cui si collocano gli
impulsi generati dal Vaticano II per la missione e la natura della chiesa in
Africa, la crescita del cattolicesimo africano, lo sviluppo della teologia
africana e l’inculturazione del cattolicesimo in Africa.
II/ ECCLESIOLOGIA, TEOLOGIA,
INCULTURAZIONE E
CATTOLICESIMO IN
AFRICA A PARTIRE DAL
VATICANO II
Laurenti Magesa ha osservato che “forse la conseguenza più importante
del Vaticano II per il cattlicesimo africano è stata la convocazione nel 1994
dell’assemblea speciale del sinodo dei vescovi per l’Africa, o sinodo africano,
quasi tre decenni dopo la chiusura del concilio”. Poco meno di cinquant’anni
dopo, un secondo sinodo africano avrebbe avuto luogo a Roma. Un tale combinarsi di assemblee sinodali conferma la
maturazione e la fiducia in se stesso acquisite del cattolicesimo africano. E’
caratteristico vedere questo sviluppo rappresentato da dati demografici e
statistici che indicano una crescita esponenziale del cattolicesimo africano da
poco più del 9% della popolazione nel 1910, fino al 63% nel 2010. La vitalità
del cattolicesimo in Africa a partire dal Vaticano II è quantificabile non solo
dal punto di vista numerico, ma molto di più nei termini della sua posizione di
controparte critica nella Terza chiesa e di principale attore nella formazione
della cristianità del futuro. Le questione che il cattolicesimo africano pone
sul tavolo sollecitano le categorie tradizionali e aprono nuove direzioni
dell’AGGIORNAMENTO del Vaticano II.
Dopo il Vaticano II la chiesa in Africa ha scoperto il suo ruolo
pubblico, la sua vocazione e missione nel campo socio-economico e politico.
Questa consapevolezza si mostra nei risultati del secondo sinodo africano
(2009), che ha identificato la chiesa in Africa come agente di riconciliazione,
giustizia e pace. Un processo simile si è verificato nell’autocomprensione
teologica della chiesa. Il primo sinodo africano contestualizzò l’ecclesiologia
conciliare del “popolo di Dio” in termini di “famiglia di Dio”, intesa come il
nuovo modo di essere chiesa in Africa. Va detto che “per la chiesa africana
l’idea di “popolo di Dio” non fu realmente nuova. Le persone non avevano mai
conosciuto altro nella loro esperienza”. Piuttosto, uno degli impulsi del
Vaticano II rimasto inadempiuto è la possibilità per la chiesa africana di
perdere la propria dipendenza dalla chiesa occidentale per quel che riguarda il
sostentamento materiale e finaziario. La mancanza di progressi compiuti in
questi settori indica che “la chiesa cattolica in Africa è chiaramente sotto
amminisrazione coloniale”.
La teologia africana è emersa in circostanze difficili. Il dibattito in
merito al principio, alla necessità e alla validità di “una teologia di tinta
africana (une theologie de couleur africaine) “ è antecedente al concilio, ma i
decreti del Vaticano II stessi, aperti all’esterno, naturalmente diedero un
nuovo impulso a questo movimento… “. Alla vigilia del concilio, i teologi
eurocentrici negarono che la teologia africana fosse una branca legittima del
sapere teologico. Le cose sarebbe cambiate quando, in primo luogo, sulla scia
“AD GENTES”, Paolo VI lanciò alla chiesa africana un appello, un sonoro invito.
“POTETE E DOVETE AVERE UN CRISTIANESIMO AFRICANO”, e, in secondo luogo,,
Giovanni Paolo II ha usato pubblicamente l’espressione “teologia africana” il9
aprile1985.
L’emergere e lo sviluppo della teologia africana è avvenuto nel
contesto della religione africana. Anche se il Vaticano II non la cita per
nome, in virtù della dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le
religioni non cristiane, NOSTRA AETATE, il concilio “aprì uno spiraglio alla
possibilità di considerare la religione africana come interlocutrice”. Ciò
implicava il riconoscimento di tradizioni religiose africane come contesto valido
per l’attività salvifica del Cristo risorto e come terreno fertile per
l’impianto della chiesa di Cristo (NA 2s;
AG 6; LG 16). In questo senso “l’apertura del Vaticano II e la
tolleranza verso diverse culture e religioni può essere il suo contributo più
importante alla chiesa in Africa”.
Alla luce di quanto detto, l’inculturazione rappresenta uno degli IMPUT
del Vaticano II per la crescita del cattolicesimo e lo sviluppo della teologia
in Africa.
Sebbene SACROSANCTUM CONCILUM inizialmente sia stata interpretata e
confinata all’adeguamento dei simboli e delle pratiche liturgiche, con il tempo
ha finito per essere intesa come una trasformazione radicale dell’intera vita
della chiesa alla luce del vangelo. Il concilio ha sollecitato la creatività e
le sperimentazioni liturgiche vicino “alle qualità e alle doti d’animo” delle
culture africane (SC 37). Abbondiamo di riti liturgici che impiegano ricchi
simbolismi delle culture e delle tradizioni religiose africane. Nondimeno, ci
sono tentativi di imporre dei limiti alla portata dell’idea di Paolo VI di un
cristianesimo africano e, quindi, di invertire il movimento della creatività
liturgica e del rinnovamento stimolato dal Vaticano II. Il controllo
ecclesiastico e burocratico significa che, nel tabellone segnapunti, il
punteggio dell’inculturazione liturgica “rimane insignificante”. Secondo
Magesa, “oggi, a causa della sistematica centralizzazione romana dopo il
fenomeno centrifugo guidato dal Vaticano II, anche solo il presentare a Roma
una iniziativa di questo tipo sta diventando sempre più difficile: molti
vescovi hanno paura o vergogna di farlo”.
III/ VATICANO
III :”GUARDARE INTREPIDAMENTE
AL FUTURO”
Sul Vaticano II la memoria teologica d’Africa è scarsa, concisa e priva
di avvenimenti importanti. Nonostante il giudizio appassionato di Rhaner, che
ha definito il concilio Vaticano II come “primo raduno dell’episcopato
mondiale”, la storia mostra che in questo “concilio della chiesa mondiale”,
“solo sporadiche voci si sono fatte sentire dall’Africa”. In gran parte
espatriato, l’episcopato africano ha trattato “solo questioni interne alle
proprie chiese, liturgiche e soprattutto canonico-disciplinari”. Negli anni
successivi, quando la fusione fino ad allora indiscussa fra cristianesimo e
occidente è collassata, nuove voci vibranti e dinamiche sono emerse al di fuori
delle ENCLAVE storiche tradizionali del cristianesimo.
Lo spostarsi a sud del cattolicesimo mondiale significa che “le gioie e
le speranze, le tristezze e le angosce”(GS 1) del cattolicesimo africano non
sono più periferiche rispetto al cattolicesimo mondiale. Il primo delinea un
nuovo contesto ecclesiale che genera una coscienza acuta di nuove
preoccupazioni e sfide, come per esempio la partecipazione delle donne al
ministero e alla guida ecclesiale; il luogo delle “gioie e delle speranze… dei
poveri e di tutti coloro che soffrono” nell’ambito missiologico della chiesa
globale; la crescente minaccia dell’islam militante; la globalizzazione e le
conseguenze che ne derivano di natura culturale, economica e politica; la
ricerca di autonomia ecclesiale; le rivalità etniche, la corruzione sistemica e
i flussi multidirezionali dei migranti e dei rifugiati. Per rispondere a tali
sfide e offrire delle risposte credibili a queste domande, la chiesa africana
non ha solo bisogno di “volgersi al comcilio per cercare una guida” ma - cosa
più importante – guarda a un terzo concilio Vaticano futuro, guidato dalla
terza Chiesa, per generare “una nuova Pentecoste” di rinnovamento e di
aggiornamento della chiesa mondiale”
NEL SIGNORE GESU’ R I S O R T
O,
UNICO SALVATORE DEL MONDO.
Sac. Salvatore Paparo