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18 apr 2013

Teologi di base


TEOLOGI E CATTOLICI DI BASE PROPONGONO UN’AGENDA PER IL NUOVO PONTIFICATO

37111. ROMA-ADISTA. Ora o mai più: la Chiesa, nelle mani di papa Francesco, deve attraversare una profonda riforma, necessaria e urgente. Sono numerose le voci di teologi che, dopo l’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio, propongono non solo una piattaforma di provvedimenti, ma soprattutto un deciso cambiamento di direzione nella percezione stessa del papato e del ruolo del papa. «Spero che non si fermi ai gesti dell'inizio del pontificato. È chiaro che si rendono necessari gesti più profondi», è la premessa del padre domenicano brasiliano Frei Betto, una delle voci più significative della Teologia della Liberazione. «La cosa più importante - afferma - è cambiare la struttura di governo della Chiesa». Il papa, non più «monarca assoluto», deve spogliarsi dell’oro, avvicinarsi al popolo, ma che anche «abbandonare titoli quali Sommo Pontefice e tutto quello che favorisce la papolatria». Ma soprattutto, insiste Frei Betto, che sia «la voce dei poveri». In questo mondo così iniquo, con disuguaglianze accentuate dal neoliberismo, segno di un «fallimento del capitalismo», è molto importante che il papa si faccia espressione dei poveri, «perché non sia interpretato come un demagogo».

Jon Sobrino: l’utopia di Giovanni XXIII
Che la Chiesa debba diventare autenticamente voce dei poveri è rimarcato dal teologo salvadoregno Jon Sobrino in un intervento pubblicato sull’ultimo numero di Carta a Las Iglesias: la più grande delle utopie, afferma, è realizzare il sogno di Giovanni XXIII: «La Chiesa è soprattutto la Chiesa dei poveri». E se Bergoglio ha mostrato sensibilità nei loro confronti, occorre che abbia «lucidità per rendere reale la Chiesa dei poveri, che deve cessare di essere la Chiesa dei ricchi, dei borghesi». «Speriamo che papa Francesco non rifugga da una Chiesa di perseguitati e martirizzati, come quella di mons. Romero e mons. Gerardi. Che li canonizzi o no, proclami che i martiri, come martiri per la giustizia, sono la cosa migliore che abbiamo nella Chiesa. È ciò che li rende simili a Gesù di Nazareth. Per fare questo non è essenziale canonizzare l'arcivescovo Romero, anche se sarebbe un buon segno. E se il Papa cadrà in una umana debolezza, che sia il fatto di essere fiero della sua terra d'origine latino-americana, sofferente e piena di speranza, martire e sempre immersa in un processo di resurrezione. E che sia orgoglioso di un'intera generazione di vescovi: Leonidas Proaño, Helder Camara, Aloysius Lorscheider, Samuel Ruiz». Per quanto attiene a questioni più organizzative, Sobrino sollecita una riforma della Curia romana, i cui membri siano preferibilmente laici; che «Roma lasci alle Chiese locali la scelta dei loro pastori»; che scompaiano dall’entourage papale tutti i simboli del potere e della dignità mondana, e che il successore di Pietro cessi di essere capo di Stato; che Roma e la Chiesa intera sentano «come offesa a Dio l'attuale separazione delle Chiese cristiane»; che venga risolta la situazione dei cattolici che «hanno fallito nel loro primo matrimonio e hanno trovato stabilità in un secondo legame», che Roma ripensi il celibato ministeriale. Sobrino pensa alle donne («una volta per tutte si appiani l’insostenibile situazione delle donne nella Chiesa»), ma anche agli indigeni («che si smetta di sottovalutare, a volte di sminuire, il mondo indigeno, i mapuche del Sud America e tutti coloro che il papa conoscerà nei suoi viaggi in Africa, Asia e America Latina») e che si impari ad amare la Madre Terra.

González Faus: una Curia senza vescovi 
Molto simile l’elenco delle priorità del teologo spagnolo José Ignacio González Faus. Sempre su Carta a las Iglesias, González cita la necessità per la Chiesa di diventare concretamente una «Chiesa dei poveri», ma cita anche la riforma della Curia, che dovrà cessare di essere formata da vescovi («l’esistenza di vescovi senza Chiesa è contraria alla tradizione originaria della Chiesa, stabilita al Concilio di Calcedonia»). Le Chiese locali dovranno essere coinvolte nella scelta dei pastori, come nel primo millennio di storia cristiana; il vescovo di Roma, quindi, dovrebbe essere eletto dai presidenti delle Conferenze episcopali, insieme a laici e donne; i cardinali come “principi della Chiesa” non dovrebbero più esistere. Oltre a un richiamo per la soluzione della situazione dei divorziati risposati e del celibato ministeriale, González Faus mette l’accento sull’urgenza di una revisione della Humanae Vitae, documento rimasto inascoltato nel popolo di Dio, sul quale già il giudizio della commissione costituita da Paolo VI fu quasi unanimemente negativo. Quel documento sulla contraccezione è stato causa «di numerosi abbandoni della pratica sacramentale, risoltisi in abbandoni della fede», e rende necessario un nuovo studio sulla materia.

Suor Campbell: più inclusività evangelica
Ad una maggiore inclusività evangelica fa appello la religiosa e teologa statunitense suor Simone Campbell, direttrice dell’associazione cattolica Network per la giustizia sociale, in un articolo sul Washington Post (3/4). «Forse il più grande cambiamento che il nostro papa Francesco potrà portare – scrive – sarà l’impressione di allentare la cappa di timore che ha fatto restare in silenzio i vertici della Chiesa»; il papa «sta liberando i vescovi dalla loro paura di essere messi a tacere da un Vaticano oppressivo». Il compito prioritario del nuovo pontefice, dunque, dovrà essere quello di «continuare a modellare una Chiesa inclusiva che accolga tutti in nome di Gesù».

Flannery: oltre la paura, cambiare dal basso
Di paura parla anche il prete irlandese – censurato dal Vaticano per le sue posizioni riformiste – Tony Flannery. Bergoglio non sarà un papa progressista, non abolirà il celibato obbligatorio, né ordinerà le donne. «Questo però non mi preoccupa – afferma il 28 marzo sul sito della sua “Associazione dei preti cattolici” d’Irlanda –. Non voglio che sia un papa a fare questo. Preferisco che stabilisca un clima nella Chiesa in cui vi sia libertà di pensiero e di espressione, in cui i temi possano essere dibattuti e discussi, perché questo è l’unico modo per portare un reale cambiamento. Il cambiamento che viene dall’alto, grazie a un decreto, non è positivo, e non avrà vita lunga. Ma quello che è suscitato da un processo di discussione, che chiediamo fortemente nella Chiesa, è permanente». Se lo farà, «porrà fine al terribile periodo di paura e oppressione che ha segnato la Chiesa in tempi recenti, e lo sostituirà con l’apertura e il dialogo». «Ho la sensazione – conclude il prete irlandese – che ci siamo messi dietro le spalle un’era di diktat e che alla fine il concetto di collegialità proclamato nel Vaticano II troverà espressione reale. Forse sono troppo ottimista, ma questo è il tempo della speranza».

Redes Cristianas: un profondo rinnovamento
«La Chiesa che vogliamo», si legge su un editoriale del portale spagnolo di cattolici di base Redes Cristianas, deve «recuperare quella spinta evangelica che le scorreva nelle vene in alcuni momenti della storia e che sarebbe oggi di grande sostegno nell’alimentare la speranza in un mondo deluso e disumanizzato».
«Occorre che il nuovo pontificato prenda coscienza, fin dall’inizio, dell’enorme crisi di credibilità che attraversa oggi l’istituzione ecclesiale nel suo insieme e che sta toccando la plausibilità della stessa fede cristiana e abbia il coraggio di tornare al Vangelo. La Chiesa cattolica sta chiedendo, a partire da tutti i suoi indicatori – dogmatici, morali, organizzativi, pastorali, spirituali –, un profondo rinnovamento». Rinnovamento che deve andare nella direzione di un superamento dell’«ecclesiologia di comunione che, nonostante le difficoltà, è restata in vigore nel primo millennio della sua storia, abbandonando definitivamente l’ecclesiologia della diseguaglianza, che, con l’assolutismo del primato di Pietro – e salvo la breve parentesi del Vaticano II – è giunta fino ai nostri giorni. In questo recupero della comunione o koinonìa, oltre ad assumere l’uguaglianza tra uomini e donne, hanno un nuovo ruolo le Chiese locali, la collegialità, la sinodalità e tutto il pluralismo cristiano esistente».


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