Translate

7 set 2010

XXIII DOMENICA per annum C

Cintano 5 settembre 2010

OMELIA

Oggi la Parola di Dio ci suggerisce soprattutto due pensieri; il primo lo deduciamo dalla lettera che San Paolo Apostolo inviò a Filemone; il secondo dal brano evangelico.
Il demonio, facendolo peccare, rese l'uomo suo schiavo. L'uomo, a sua volta, divenuto con il peccato, immagine del demonio, ha sempre cercato di rendere suo schiavo l'altro uomo. Quando Gesù, duemila anni fa, venne sulla terra, trovò la piaga della schiavitù diffusa ovunque. Pochi uomini erano padroni e le masse schiave. Il padrone trattava lo schiavo come un oggetto, come un animale di sua proprietà: lo poteva vendere, battere a sangue e anche uccidere.
Gesù venne per distruggere il peccato e quindi anche la schiavitù che è una delle conseguenze del peccato. Chi si libera dal peccato diviene figlio di Dio e tratta gli altri uomini non come schiavi, ma come fratelli. E' sotto questa luce che dobbiamo accostarci  alla lettera che San Paolo scrisse a Filemone. Filemone era un padrone di Colossi, convertitosi al cristianesimo e battezzato da San Paolo. Onesimo, schiavo di Filemone, dopo aver derubato il suo padrone, fuggì a Roma. Qui trovò San Paolo e si convertì al cristianesimo. Che fare? Ritornare dal padrone Filemone, come esigeva la legge romana, o restare libero, come esigeva l'uguaglianza dei figli di Dio? San Paolo convinse Onesimo a tornare da Filemone, ma inviò a questo una lettera di raccomandazione che possiamo riassumere così: "Caro Filemone, io come Apostolo di Cristo ti potrei comandare di liberare Onesimo, figlio mio che ho generato nel battesimo. Potrei tarttenerlo con me, ma non lo faccio perchè il tuo non sia un beneficio forzato, ma volontario. Ricevilo come riceveresti me. Non lo trattare come schiavo, ma come fratello amato. O fratello, fa' che io abbia da te questa gioia nel Signore, dona al mio cuore questo conforto in Cristo, per il cui Nome ora sono incatenato".
Filemone comprese la lezione: un cristiano non può avere schiavi ma fratelli, e liberò Onesimo, il quale ritornò a Roma da San Paolo, fu fatto vescovo e morì martire. Anche Filemone morì martire.
Una piccola applicazione: noi non abbiamo schiavi nel vero senso della parola, ma poichè siamo ancora peccatori, tendiamo ad assoggettare gli altri per il nostro interesse, desideriamo che gli altri si mettano a nostra completa disposizione. E' necessario, pertanto, che ci convertiamo sempre di più. La nostra coversione sarà perfetta solo nel giorno in cui faremo nostro l'atteggiamento pratico di Gesù: "NON SONO VENUTO IN QUESTO MONDO PER ESSERE SERVITO, MA PER SERVIRE".

Passiamo al commento del brano evangelico, riflettendo su queste parole di Gesù: "Se uno viene a me, e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, non può essere mio discepolo".
Gesù parte da questo principio basilare: noi siamo stati creati per amare. Nella pratica dell'amore, però, c'è una graduatoria: al primo posto c'è l'amore verso Dio Padre e verso Gesù; segue l'amore verso la nostra vita e verso le persone che costituiscono la nostra famiglia naturale; ossia verso il padre, la madre, lo sposo, la sposa, i figli e le figlie, i fratelli e le sorelle. In terzo luogo, segue l'amore verso il prossimo, cioè verso le persone con le quali abbiamo particolari rapporti di vita, come ad esempio, gli amici, i vicini di casa, i colleghi di lavoro. Infine, il nostro amore si deve estendre a tutti gli uomini e a tutte le donne del mondo, perchè tutti formiamo una sola famiglia. Infatti, Dio è il Padre di tutti noi, e tutti siamo fratelli e sorelle tra di noi.
Tenendo presente il suddetto, possiamo caipre le parole di Gesù che abbiamo citato sopra: l'amore verso i nostri familiari è santo e va coltivato, praticato. Però, se detto amore, in un caso particolare, ci impedisce di amare Dio Padre e Gesù, allora dobbiamo saperlo sacrficare  e dobbiamo scegliere non il compimento della volontà dei nostri cari, ma il compimento della volontà del Padre Celeste e di Gesù. Facciamo un esempio: se un figlio sente la vocazione sacerdotale; cioè se un figlio sente che Dio Padre e Gesù lo chiamano a farsi sacerdote, nel caso in cui i genitori si oppongono a questa vocazione, il figlio deve ubbidire al Padre Celeste e a Gesù, e disubbidire ai genitori.    

Concludendo, diciamo che dobbiamo imitare sempre l'esempio di San Pietro e degli altri Apostoli, i quali, quando i capi dei Giudei proibirono loro di continuare a predicare che Gesù è il Messia risuscitato da Dio, risposero: "DOBBIAMO UBBIDIRE A DIO E NON AGLI UOMINI".

Sac. Salvatore Paparo.

Nessun commento:

Posta un commento