QUINDICESIMA DOMENICA DURANTE L'ANNO C
Cintano 11 luglio 2010
La parabola del Buon Samaritano è un continuo susseguirsi di scene che suscitano in noi diversi sentimenti e reazioni.
Dapprima ci rattristiamo nel costatare la crudeltà dei briganti che, senza pietà, si avventano contro il malcapitato passante, lo caricano di botte, lo fanno insanguinare, lo derubano e lo lasciano mezzo morto sul ciglio della strada. Poi ci sdegniamo contro quel sacerdote e quel levita che giunti presso il ferito boccheggiante, anzichè fermarsi per soccorrerlo, accelerano il passo e si allontanano frettolosi. Infine, dinanzi all'atteggiamento pietoso del samaritano, tiriamo un sospiro di sollievo.
Per comprendere il comportamento del sacerdote, del levita e del Samaritano, dobbiamo indagare nel loro intimo, nella pianta del loro cuore.
Il sacerdote e il levita non si fermarono per soccorrere il ferito perchè erano dominati da sentimenti egoistici che nella circostanza particolare assunsero il volto della paura e dell'interesse. Ciascuno di loro pensò: "Forse i briganti sono ancora nascosti nelle vicinanze e se mi fermo corro il rischio di fare la stessa fine dello sconosciuto ferito". E ancora: "Se mi fermo per soccorrere il ferito, dovrò faticare molto, dovrò spendere il mio denaro per curarlo e guarirlo. E' meglio che io proceda oltre".
Il Buon Samaritano, invece, si lasciò vincere dalla compassione e, conseguentemente, sostituì l'egoismo pauroso e interessato del sacerdote e del levita, con l'amore fraterno coraggioso e disinteressato. Senza la minima esitazione, balzò da cavallo, prestò al malcapitato le prime cure con vino, olio e bende, delicatamente caricò il ferito sul suo giumento; con parole premurose lo affidò all'albergatore e pagò tutte le spese necessarie per curarlo e guarirlo.
A questo punto siamo in grado di capire l’insegnamento di Gesù: per ereditare la vita eterna dobbiamo amare Dio con tutte le nostre forze; dobbiamo amare il prossimo come noi stessi.
E chi è il nostro prossimo? E' colui con il quale, quotidianamente, entriamo in contatto e che ha bisogno del nostro aiuto. E’ necessario, pertanto, ubbidire a Gesù che come al dottore della Legge, ordina a ciascuno di noi: “VA’, E ANCHE TU FA’ COSI’ “.
Sono tre le regole che dobbiamo tenere presenti nell'esercizio del nostro amore verso il prossimo:
Prima Regola: "AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO" Il che significa: "Non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te" " Fa' agli altri quello che vuoi che gli altri facciano a te" "FA' AGLI ALTRI QUELLO CHE FAI A TE STESSO".
Seconda Regola: " AMA IL TUO PROSSIMO PERCHE’ IL TUO PROSIMO E’ GESU’ “. E’ LA MIRABILE REALTA’ DEL CORPO MISTICO DI GESU’. Gesù ne è IL CAPO, noi LE MEMBRA, Il capo e le membra costituiscono un unico corpo. NOI E GESU’ SIAMO UN UNICO CORPO, SIAMO UN UNICO GESU’, UN UNICO FIGLIO DEL PADRE CELESTE. Sotto questa luce capiamo le parole di Gesù: “QUALUNQUE COSA FATE AL PIU’ PICCOLO DEI MIEI FRATELLIO. LA FATE A ME”. “SAULO, SAULO, PERCHE’ MI PERSEGUITI? “.
Terza regola: "AMATEVI, COME' IO HO AMATO VOI". Dobbiamo amare il prossimo come Gesù ha amato noi; cioè senza misura, fino, se è necessario, ad offrire la nostra vita per lui. Giustamente San Giovanni Evengelista afferma: “In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che Gesù ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli”. CONCLUDIAMO CITANDO ANCORA SAN GIOVANNI EVANGELISTA:” FRATELLI, NON AMIAMO A PAROLE, NE’ CON LA LINGUA, MA CON I FATTI E NELLA VERITA’ “.
Sac. Salvatore Paparo
9 lug 2010
QUINDICESIMA DOMENICA DURANTE L'ANNO C
L’Opera Cenacolo Familiare nasce in “embrione” nel maggio del 1946 in un seminario del Piemonte in seguito all’esperienza spirituale vissuta da don Salvatore Paparo, sacerdote cattolico nato a Cesarò (Messina) il 14 Agosto 1929 e morto a Cintano (To) l'1 febbraio 2015. Entrato nel Piccolo Seminario di Bronte (Catania) all’età di 10 anni, Salvatore matura la sua vocazione sacerdotale. Dopo la scuola media si trasferisce al Seminario Maggiore di Catania, dove rimane per due anni. Desiderando dedicarsi alla missione, l’8 Dicembre del 1945 entra nello studentato dei Padri Maristi a Cavagnolo (Torino). Nel maggio del 1946 si ammala gravemente e i medici disperano di salvarlo. Don Salvatore, invece, guarisce improvvisamente e, mentre si sente “immerso in Dio, luce-calore estasiante”, riceve questo messaggio: “L’umanità va incontro all’Età Aurea del Cristianesimo. Allora il mondo riconoscerà Gesù come unico suo Salvatore e vivrà in modo straordinario un’era di pace e di benessere. Tu sarai l’umile nostro strumento”.
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