2 set 2013
Amatissimi lettori e lettrici
del blog dell’Opera Cenacolo Familiare,
ad un anno esatto dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini, oggi 31 agosto 2013, ricevo la rivista “Famiglia Cristiana” n. 35 1° settembre 2013.
La trovo molto interessante e vi riferisco quanto di più importante la rivista ha pubblicato sul cardinale.
Sulla copertina leggo: “CARLO MARIA MARTINI
AD UN ANNO DALLA SCOMPARSA SI AVVERA IL SUO SOGNO
DI UNA NUOVA CHIESA
IL CARDIANALE CHE ANNUNCIO’ PAPA FRANCESCO
Alla pagina 8 “Colloqui col Padre”, Giovanni T. Padova, fra l’altro scrive:
“Il 31 agosto, sul finire dell’estate, il cardinale Martini ha lasciato la vita terrena e ci ha consegnato, come eredità preziosa, un sogno: quello di una Chiesa più accogliente, che va incontro alle persone senza giudicarle, che non sale in cattedra ma preferisce sedersi a tavola con tutti. Una Chiesa più sinodale, sempre in cammino e, quindi, bisognosa di strutture più leggere. Più povera e più libera, disposta a rischiare. Un sogno che viene da lontano, coltivato da almeno mezzo secolo con le speranze del Concilio Vaticano II. E che, con la scomparsa di Martini, sembrava svanito o proiettato in un futuro distante.
Invece, dopo appena due stagioni, sul finire dell’inverno, è arrivata la coraggiosa decisione di Ratzinger. Poi, l’elezione di Bergoglio, gesuita come Martini, con un nome che è già un programma: Francesco. E ancora una serie impressionante di gesti, tutti nella direzione sognata da Martini” “Quel che sta succedendo nella Chiesa è bello. Dà gioia e speranza a tanta gente. La fede muove le persone a riconoscersi come fratelli e abbracciarsi. Un nuovo atteggiamento che rende tutto diverso”. “Come fu per Gesù e per gli Apostoli, sempre in cammino verso nuovi incontri. Come fu per i profeti e anche per Martini. Anch’egli, come Mosè, non vide “la terra promessa”, ma si fermò vicino alla meta, ad appena due stagioni di distanza. Nell’ultima sua intervista disse: “Consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo Spirito possa diffondersi ovunque”. La Chiesa che sta arrivando è quella sognata da Martini? Io spero di sì”. Risposta di don Antonio Sciortino: “Non so se il sogno del cardinale Martini si sia avverato. Di certo se fosse vivo oggi non gli dispiacerebbe la nuova Chiesa di papa Francesco, un gesuita come lui ed entrambi candidati nel Conclave del 2005 per la successione a Giovanni Paolo II. Pochi giorni prima di morire, nell’agosto dello scorso anno, il cardinale Martini rilasciò un’intervista a padre Sporschill, pubblicata sul Corriere della Sera, una sorte di testamento spirituale che suscitò un ampio dibattito. In quel testo il cardinale denunziava il ritardo della Chiesa su tante questioni aperte, che ancora attendono risposta. “La Chiesa, disse, è indietro di duecento anni” a significare come avesse perso l’ottimismo, la freschezza e lo slancio che lo caratterizzavano negli anni del Concilio Vaticano II”. “La Chiesa, diceva, deve avere la forza di riconoscere i propri errori e percorrere un cammino di radicale cambiamento, cominciando dal papa e dai vescovi”. Ad un anno dalla sua morte, il messaggio di Martini è quanto mai vivo e attuale.
La rivista “Famiglia Cristiana”, alla pagina 50 pubblica un articolo del vescovo Bruno Forte su Carlo Martini, intitolato “IL CARDINALE CHE ANNUNCIO’
FRANCESCO”. Trascrivo quanto reputo sia più importante:
“Quale eredità possiamo raccogliere dal Cardinale Carlo Maria Martini a un anno dalla sua morte? Proverò a rispondere a questa domanda riferendomi ad un’idea a lui cara, centrale nella spiritualità e nella lingua di sant’Ignazio di Loyola: l’idea DELLA RIVERENZA.
In Martini la riverenza verso il divino si concretizzava nell’amore alla Parola di Dio: è questo che spiega la cura con cui egli accostava il testo biblico ed è ciò che fa capire come il cardinale non si fermasse ad una lettura solamente filologica delle Scitture, ma avvertisse l’urgenza di nutrirsi della Parola di vita, affinchè essa inondasse della sua luce tutti gli spazi dell’anima”. “E’ ancora l’atteggiamento della riverenza quello che ispirava i rapporti ecclesiali di Carlo Maria Martini: non si trattava solo del rispetto dovuto ai superiori religiosi o della profonda venerazione da lui nutrita verso il successore di Pietro, ma anche della sua attenzione a ogni membro del popolo di Dio, quale che fosse la sua età o reponsablità o maturazione nella vita di fede. Un passaggio degli Esercizi Spirituali di Ignazio fa ben comprendere che cosa significhi ispirare questi rapporti alla riverenza: “Un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla , cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la difende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi”.
Chi ha conosciuto il cardinale sa come ciascuno di questi passi fosse da lui scrupolosamente osservato. Da quest’atteggiamento di rispetto derivava in Martini il desiderio di una maggiore collegialità nella vita ecclesiale: non si trattava in alcun modo di una pretesa anti gerarchica o ispirata da quello che Balthasar aveva definito l’affetto anti romano”. L’arcivescovo di Milano era profondamente convinto del ruolo decisivo del successore di Pietro nel confermare i fratelli: il maggiore sviluppo della collegialità, da lui auspicato, voleva essere precisamente un aiuto all’esercizio il più possibilie snello ed efficace del ministero petrino, oltre che una via per favorire l’effettiva sollecitudine per tutte le Chiese, di cui ogni vescovo è partecipe nel collegio episcopale. Nei rapporti, poi, con l’insieme del popolo di Dio quest’atteggiamento di rispetto per tutti si traduceva nella volontà di promuovere la “sinodalità” intesa come partecipazione e corresponsabilità di ogni battezzato, secondo il dono ricevuto e il ministero esercitato, nei processi decisionali e nelle realizzazioni pastorali della Chiesa. Una comunità dove tutti si sentissero responsabili e ognumo lo fosse effettivamente in accordo con la vocazione ricevuta da Dio: tale era il popolo dei battezzati nel “sogno” di questo grande successore di Ambrogio.
Infine, l’atteggiamento ignaziano della riverenza era alla base anche del modo di porsi di Martini nei confronti della cosidetta cultura laica, dei non credenti e di tutti i possibili cercatori di Dio: il cardinale sapeva accogliere tutti, non imporsi a nessuno. Allo stesso tempo, ascoltando le ragioni dell’altro, sapeva crescere nella consapevolezza del dono di credere e riusciva a camminare con l’altro, senza forzature nè compromessi, sui sentieri di obbedienza alla verità.
La “Cattedra dei non credenti” è stata una scuola di esercizio reciproco della riverenza per tutti, credenti e non credenti, e proprio per questo un luogo di incontri sorprendenti di approdi luminosi, di scoperte salutari.
Resta da chiedersi se quanto si è detto aiuti a valutare la prossimità o la lontananza del cardinale da papa Francesco. Le diversità sono evidenti: espressione del Nord del mondo l’uno, dalla tipica cultura europea, raffinato cultore di scienze bibliche, perfino aristocratico nell’espressione che suscitava in chi non lo conoscesse, data la sua innata timidezza; venuto “dalla fine del mondo” l’altro, espressione dell’anima latinoamericana, dall’umanità calda e comunicativa, dalla cultura vasta e insieme legata all’esperienza del servizio alle periferie geografiche ed esistenziali, testimone convinto della scelta preferenziale dei poveri e della povertà come stile di vita. Eppure fra questi due poli, il legame mi sembra fortissimo: esso sta proprio nell’identità spirituale plasmata alla scuola di Ignazio e della riverenza. In questo senso, tanto sul piano del primato di Dio, quanto su quello del desiderio di una Chiesa di cristiani adulti e corresponsabili, dove collegialità e sinodosità siano di casa e dove oguno possa sentirsi accolto e amato, Bergoglio e Martini sono vicinissimi, fino a poter intravedere nel Papa che Dio ha voluto oggi per la sua Chiesa la realizzazione
della speranza e della preghiera, sulla quale si era chiusa appena ieri – come una soglia affacciata al domani – la vita del grande successore di Ambrogio “.
Bruno Forte
A cura del sacerdote Salvatore Paparo
Cintano 31 agosto 2013
L’Opera Cenacolo Familiare nasce in “embrione” nel maggio del 1946 in un seminario del Piemonte in seguito all’esperienza spirituale vissuta da don Salvatore Paparo, sacerdote cattolico nato a Cesarò (Messina) il 14 Agosto 1929 e morto a Cintano (To) l'1 febbraio 2015. Entrato nel Piccolo Seminario di Bronte (Catania) all’età di 10 anni, Salvatore matura la sua vocazione sacerdotale. Dopo la scuola media si trasferisce al Seminario Maggiore di Catania, dove rimane per due anni. Desiderando dedicarsi alla missione, l’8 Dicembre del 1945 entra nello studentato dei Padri Maristi a Cavagnolo (Torino). Nel maggio del 1946 si ammala gravemente e i medici disperano di salvarlo. Don Salvatore, invece, guarisce improvvisamente e, mentre si sente “immerso in Dio, luce-calore estasiante”, riceve questo messaggio: “L’umanità va incontro all’Età Aurea del Cristianesimo. Allora il mondo riconoscerà Gesù come unico suo Salvatore e vivrà in modo straordinario un’era di pace e di benessere. Tu sarai l’umile nostro strumento”.
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