14 set 2013
Il Papa fa aprire i conventi
IL PAPA: APRIRE I CONVENTI VUOTI AI RIFUGIATI
Francesco visita il Centro Astalli che nel cuore di Roma assiste e nutre coloro che fuggono da guerre e violenze
ANDREA TORNIELLI
ROMA
«I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati». Lo ha detto alzando gli occhi dal testo scritto Papa Francesco, nel corso della sua visita al Centro Astalli, il luogo nel cuore di Roma che accoglie, nutre e aiuta rifugiati. Qui da oltre trent'anni vengono assistite persone arrivate in Italia che fuggono da guerre, violenze e torture.
Francesco teneva molto a questo appuntamento, che prosegue in qualche modo la sua visita a Lampedusa: com'è nella tradizione più antica del vescovo di Roma, i poveri e i perseguitati sono al centro della sua attenzione. Francesco è arrivato al Centro Astalli alle 15.25, a bordo di una Ford Focus blu, senza scorta e senza segretario al seguito. Il Papa ha salutato già fuori molti di coloro che aspettavano di poter consumare il pasto. Poi è entrato in mensa e si è avvicinato agli ospiti che stavano mangiando e poi si è trattenuto con una ventina di rifugiati. Ha ascoltato le loro terribili storie, particolarmente toccante quella di Carol, siriana. Ha sottolineato alcuni passaggi di ciò che aveva ascoltato, affermando che l'integrazione «è un diritto».
Dopo un breve momento di preghiera nella cappellina del Centro Astalli, e dopo aver salutato tutto il personale - gli è stato offerto anche del mate - il Papa si è spostato nella vicina chiesa del Gesù, dove ha incontrato 250 volontari che prestano servizio in quattro centri di accoglienza gestiti dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati.
«Servire, che cosa significa? Servire - ha detto Francesco - significa accogliere la persona che arriva, con attenzione; significa chinarsi su chi ha bisogno e tendergli la mano, senza calcoli, senza timore, con tenerezza e con comprensione, come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli apostoli».
«Servire significa lavorare a fianco dei più bisognosi, stabilire con loro innanzitutto relazioni umane, di vicinanza, legami di solidarietà». Solidarietà, ha aggiunto Francesco, «questa parola che fa paura al mondo più sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra Parola! Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione».
« Per tutta la Chiesa - ha detto ancora il Papa - è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli “specialisti”, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali».
Francesco ha poi pronunciato parole molto forti invitando le congregazioni religiose e non tenere i conventi vuoti. « In particolare – e questo è importante e lo dico dal cuore – in particolare vorrei invitare - ha detto -anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti…».
«Carissimi religiosi e religiose - ha aggiunto il Papa - i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con generosità e coraggio la accoglienza nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire»
«Superare la tentazione della mondanità spirituale - ha concluso il Pontefice - per essere vicini alle persone semplici e soprattutto agli ultimi. Abbiamo bisogno di comunità solidali che vivano l’amore in modo concreto! Ogni giorno, qui e in altri centri, tante persone, in prevalenza giovani, si mettono in fila per un pasto caldo. Queste persone ci ricordano sofferenze e drammi dell’umanità. Ma quella fila ci dice anche che fare qualcosa, adesso, tutti, è possibile. Basta bussare alla porta, e provare a dire: “Io ci sono. Come posso dare una mano?”».
Il Papa alla fine ha accompagnato una famiglia di rifugiati a offrire un omaggio floreale sulla tomba di padre Pedro Arrupe, che fu generale dei gesuiti.
L’Opera Cenacolo Familiare nasce in “embrione” nel maggio del 1946 in un seminario del Piemonte in seguito all’esperienza spirituale vissuta da don Salvatore Paparo, sacerdote cattolico nato a Cesarò (Messina) il 14 Agosto 1929 e morto a Cintano (To) l'1 febbraio 2015. Entrato nel Piccolo Seminario di Bronte (Catania) all’età di 10 anni, Salvatore matura la sua vocazione sacerdotale. Dopo la scuola media si trasferisce al Seminario Maggiore di Catania, dove rimane per due anni. Desiderando dedicarsi alla missione, l’8 Dicembre del 1945 entra nello studentato dei Padri Maristi a Cavagnolo (Torino). Nel maggio del 1946 si ammala gravemente e i medici disperano di salvarlo. Don Salvatore, invece, guarisce improvvisamente e, mentre si sente “immerso in Dio, luce-calore estasiante”, riceve questo messaggio: “L’umanità va incontro all’Età Aurea del Cristianesimo. Allora il mondo riconoscerà Gesù come unico suo Salvatore e vivrà in modo straordinario un’era di pace e di benessere. Tu sarai l’umile nostro strumento”.
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