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11 nov 2013

ALLA FINE DEI TEMPI


“ALLA FINE DEI TEMPI CI SARA’ LA RISURREZIONE DEI CORPI”. XXXII DOMENICA PER ANNUM  C


10 NOVEMBRE  2013 

 

OMELIA

 

Il mese di novembre è dedicato ai morti e la liturgia odierna ci fa riflettere sulla futura sisurrezione dei nostri corpi. Lo fa esaltando il martirio di sette fratelli e riportandoci una discussione tra Gesù e i Sadducei.

Il re Antioco IV Epifane  nel secondo secolo prima della nascita di Gesù, ordinò agli Ebrei di apostatare, di rinnegare cioè Dio e i suoi comandamenti, e di vivere in modo pagano. Purtroppo molti apostatarono, ma la maggioranza degli Ebrei RIMASE FEDELE A DIO E AI SUOI COMANDAMENTI. MOLTI DI ESSI AFFRONTARONO CON GRANDE CORAGGIO UN ATROCE MARTIRIO. Fra di questi annoveriamo un’intera famiglia composta dalla mamma e dai suoi sette figlioli. In essi non solo notiamo la fortezza nel sopportare le torture e la morte, ma anche la certezza che Dio un giorno li avrebbe risuscitati.

Uno dei sette fratelli, giunto all’ultimo respiro, rivolse al re queste parole:

“TU, O SCELLERATO, CI TOGLI DALLA VITA PRESENTE. MA IL RE DELL’UNIVERSO CI FARA’ RISORGERE PER UNA VITA CHE NON FINISCE, DATO CHE ORA MORIAMO PER LE SUE LEGGI”.

Un altro dei sette fratelli proseguì così: “ QUESTE MIE MEMBRA LE HO RICEVUTE DA DIO, E ORA SONO PRONTO A SACRIFICARLE PER AMORE DELLE SUE LEGGI. MA SONO CERTO CHE MI SARANNO RESTITUITE DA DIO STESSO”. Uno dei sette fratelli addirittura si mostrò entusiasta del suo martirio ed  esclamò: “E’ BELLO ESSERE UCCISI DAGLI UOMINI, QUANDO SI HA UNA SPERFANZA: DIO, INFATTI, CI HA PROMESSO CHE CI RIDARA’ LA VITA”.

Questa famiglia eroica che subì atroci sofferenze e donò la vita per rimanere fedele a Dio e alle sue leggi, sicura che un giorno sarebbe stata risuscitata da Dio, ci sollecita ad accogliere l’esortazione di San Paolo: “FRATELLI, VI SCONGIURO, CERCATE LE COSE DI LASSU’ E NON QUELLE DI QUAGGIU’, PERCHE’ SIAMO CITTADINI DEL CIELO”.

L’esortazione di San Paolo ci introduce al Vangelo di oggi. I Sadducei erano persone che cercavano solo le cose di quaggiù perché non credevano alla vita ultraterrena e conseguentemente negavano la risurrezione dei corpi. E dato che Gesù predicava spesso che alla fine dei tempi ci sarà la risurrezione dei corpi, i Sadducei lo vollero canzonare riportando il fatto che abbiamo udito: una donna, seguendo la legge del Levirato, sposò uno dopo l’altro sette fratelli. I Sadducei  sarcastamente  domandarono a Gesù: “Alla risurrezione dei corpi la donna di chi sarà moglie dato che tutti e sette gli uomini l’ebbero per moglie?” Gesù rispose loro: “ NELL’AL DI LA’ I RISORTI NON PRENDERANNO NE’ MOGLIE NE’ MARITO”. Dobbiamo stare attenti a non falsare il pensiero di Gesù. I Sadducei erano materialisti, e nel matrimonio vedevano solo l’esercizio del sesso. Gesù rispondendo come ha risposto, perciò, intendeva dire che, dopo la riusurrezione, gli sposi non faranno più l’atto intimo sessuale proprio degli sposi; essi però resteranno sposi: il loro reciproco amore che è dono TOTALE (io sono tutto tuo, io sono tutta tua), ESCLUSIVO ( io mi dono SOLO a te ), DEFINITIVO ( io mi dono per sempre a te) sarà perfetto e vivranno insieme eternamente felici. Praticamente, dopo la risurrezione, l’amore degli sposi SARA’ SIMILE AL RECIPROCO AMORE DELLE PERSONE CHE COSTITUISCONO LA FAMIGLIA TRINITARIA DI DIO: IL PADRE SI DONA TUTTO AL FIGLIO, IL FIGLIO SI RIDONA TUTTO AL PADRE, LO SPIRITO SANTO UNISCE IN SE’ IL PADRE AL FIGLIO E IL FIGLIO AL PADRE E RENDE FELICISSIME LE TRE PERSONE DELL’UNICO DIO.  Gli sposi in Cielo, pertanto, dopo la risurrezione si doneranno reciprocamente con un amore totale, esclusivo, definitivo e saranno eternamente felici.

 

Sac. Salvatore Paparo

 

AMATISSIMO MIO SIGNORE GESU’ RISORTO,           

UNICO SALVATORE DEL MONDO,

SONO LIETO, IL PAPA FRANCESCO, DOCILE ALLA LUCE DELLO SPIRITO SANTO, HA INDETTO IL SINODO DELLA FAMIGLIA. IN VERITA’ LA DENOMINAZIONE DATA E’ SONONIMO DI

CONCILIO ECUMENICO VATICANO III, DA TEMPO INIZIATO

DALLO SPIRITO SANTO.

Il tuo piccolo strumento

Sac. Salvatore Paparo

Cintano 10 novembre 2013

 

5 nov 2013

CONCILIO ECUMENICO VATICANO III

Amatissimo e Stimatissimo Papa Francesco,
te ne prego, non tardare a indire il Concilio Ecumenico Vaticano III. Il mondo non può attendere: la Chiesa di Gesù guidata da te successore di Pietro, sotto L'AZIONE DELLO SPIRITO SANTO , deve convocare i vescovi cristiani, i rappresentanti di tutte le categorie cristiane, i rappresentanti delle religioni non cristiane, i rappresentanti degli uomini e delle donne non credenti di buona volontà perchè si costruisca tutti insieme LA FAMIGLIA DI DIO PADRE, REDENTA DA GESU' RISORTO L'UNICO SALVATORE DEL MONDO, E POSSA GODERE IL LUNGHISSIMO PERIODO DI PACE E DI BENESSERE MESSIANICI CHE GRADUALMENTE PREPARERA' I CIELI NUOVI E LA TERRA NUOVA.
Il tuo umile fratello
sac. Salvatore Paparo
Cintano 4 Novembre 2013

3 nov 2013

XXXI DOMENICA durante l'anno C

OMELIA Per commentare la Sacra Scrittura di oggi, è utile richiamarci alla mente l'atteggiamento di Gesù nei confronti dei peccatori. Gesù era l'amico dei peccatori, Gesù non condannava i peccatori, così come non condannò, ad esempio, quella donna colta mentre peccava di adulterio. Dei malvagi la trascinarono da Gesù perchè Egli la condannasse a morte. Essi erano già pronti ad ucciderla sotto un cumulo di pietre; ma Gesù li svergognò con la famosa frase: "Chi di voi è semza peccato, scagli la prima pietra contro di lei". Tutti, a cominciare dai più vecchi, se ne andarono, perchè tutti erano peccatori. Allora si svolse questo commovente dialogo tra Gesù e l'adultera: " Donna, nessuno ti ha condannato?" "Nessuno, Signore". "Neanch'io ti condanno, Va' in pace, e non peccare più". Ma perchè Gesù ama i peccatori? Perchè non li condanna? Gesù ama i peccatori e non li condanna, perchè i peccatori sono dei malati, e Lui è il Medico pieno di compassione e capace di guarire qualsiasi malattia. Sotto questa luce siamo in grado di capire l'episodio di Zaccheo che abbiamo letto nel brano evangelico. Zaccheo era un grande peccatore, conosciuto da tutti come il capo dei ladri. Ebbene, Gesù, l'amico dei peccatori e il loro medico, compì un grande gesto di amicizia verso Zaccheo peccatore e malato, andando a pranzare nella sua casa. Zaccheo si commosse dinanzi al gesto di amicizia di Gesù; gioì immensamente per questo, comprese di essere un peccatore malato, si fece guarire da Gesù e si convertì. Immediatamente pensò a riparare il male commesso con i suoi furti. "Signore, disse a Gesù, io dò la metà dei miei beni ai poveri; e a chi ho rubato, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi, per questa casa è venuta la salvezza. IO, infatti, sono venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". E qui non possiamo tacere un importante frutto della conversione del peccatore e del conseguente perdono di Dio, cioè la gioia. Gioisce il peccatore pentito e perdonato; gioisce Dio misericordioso che perdona. Dio che perdona, gioisce come gioì il buon pastore della parabola evangelica, dopo aver ritrovata la sua pecorella smarrita; gioisce come gioì il padre misericordioso al ritorno del suo figliolo prodigo. Per la gioia organizzò una grande festa, un sontuoso banchetto: "Facciamo festa, disse, perchè questo mio figliolo era morto, ed è tornato in vita, era perduto e l'ho ritrovato". La conclusione di quanto abbiamo detto, ce la suggerisce Sant'Agostino: "Nessuno E' felice come Dio; Nessuno FA felice come Dio". Sac. Salvatore Paparo

2 nov 2013

FESTA DI TUTTI I SANTI ANNO 2013

OMELIA La Solennità di Tutti i Santi è un invito ad unirci alla gioia di tuti coloro che hanno già raggiunto la meta del Paradiso. E’ quindi anche un invito a gioire con i nostri cari defunti che si trovano già in Paradiso e che ci attendono desiderosi di condividere con noi la loro sorte felice. Ma per capire meglio il significato della festa che celebriamo, accostiamoci alla Parola di Dio letta. L’Apostolo San Giovanni nella Prima Lettura ci assicura che il Paradiso non è riservato ad alcune persone privilegiate, ma che è per tutte le persone di buona volontà. Esso, infatti, è abitato da un’immensa folla che nessuno può contare. Gli abitatori del Paradiso provengono da ogni nazione e razza, da ogni popolo e lingua. Essi indossano vesti candide a significare che sono senza peccato o perché durante la loro vita terrena si sono mantenuti sempre innocenti o perché dopo aver peccato si sono convertiti. Se dalla Prima Lettura passiamo al brano evangelico, incontriamo Gesù che ci indica la via che ci conduce al Paradiso. Noi siamo beati e raggiungiamo il Paradiso SE SIAMO POVERI IN SPIRITO, MITI, MISERICORDIOSI, OPERATORI DI PACE, PERSEGUITATI E CALUNNIATI A CAUSA DI GESU’. Commentiamo brevemente tre di queste BEATITUDINI: BEATI I POVERI IN SPIRITO Certamente Gesù non vuole convincere i poveri a subire la loro povertà perché i loro patimenti sofferti sulla terra saranno ricompensati nell’al di là con una vita beata. Certamente Gesù non vuole dire che sono beati coloro che sono distaccati con il cuore, pur restando saldamente in possesso dei loro beni. Infatti, mentre i loro soldi marciscono depositati in banca, i poveri muoiono di fame. Cosa vuole dirci, dunque, Gesù? Gesù vuole dirci che sono beati coloro che scelgono la povertà per aiutare i poveri. Gesù invita noi suoi discepoli a farci volontariamente poveri perché i poveri non siano più poveri e tutti vivano una vita dignitosa. In pratica dobbiamo seguire l’insegnamento dei Padri della Chiesa: “QUELLO CHE HAI IN PIU’, NON E’ TUO MA DEI POVERI, E DEVI RESTITUIRLO AI POVERI”. BEATI I MISERICORDIOSI Noi siamo beati e raggiungiamo il Paradiso se non condanniamo gli altri e se perdoniamo di cuore coloro che ci offendono o ci fanno del male, così come Dio perdona i nostri peccati. BEATI GLI OPERATORI DI PACE. Noi siamo beati e raggiungiamo il Paradiso se quando due persone o due gruppi di persone sono in discordia tra di loro, ci adoperiamo perché i litiganti si capiscano, si perdonino a vicenda e diventino nuovamente amici. Se agiamo così siamo OPERATORI DELLA PACE MONDIALE MESSIANICA CHE DA DUEMILA ANNI SOFFRE LE DOGLIE DEL PARTO E SOSPIRA DI ESSERE PARTORITA: “ PACE IN TERRA AGLI UOMNI CHE DIO AMA “. Sac. Salvatore Paparo

28 ott 2013

XXX DOMENICA PER ANNUM C

“ CHIUNQUE SI ESALTA SARA’ UMILIATO, CHI INVECE SI UMILIA SARA’ ESALTATO “ XXX DOMENICA PER ANNUM C 27 OTTOBRE 2013 OMELIA Lo scopo che Gesù si è prefisso nel raccontarci la parabola del fariseo e del pubblicano, ce lo indica san Luca: la parabola, ci dice l’evangelista, è diretta a coloro che si credono giusti e disprezzano gli altri. Un fariseo e un pubblicano vanno al tempio per pregare ossia per intavolare una conversazione con Dio. Innediatamente emerge il diverso comportamento dei due protagonisti: il fariseo vede la sua vita cosparsa solo di virtù e di opere buone; al contrario vede la vita degli altri, compresa quella del pubblicano presente , cosparsa solo di vizi e di opere malvage per cui, logicamente, si rivolge così a Dio: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di tutto quello che posseggo”. L’atteggiamento del pubblicano è molto diverso da quello del fariseo: egli riconosce i suoi peccati, se ne pente e invoca il perdono di Dio. La nostra riflessione deve partire da questa costatazione: il fariseo e il pubblicano sono tutti e due peccatori: se il fariseo si ritiene giusto e il pubblicano riconosce di essere peccatore è perché il fariseo è superbo ed il pubblicano è umile. Il superbo vive nelle tenebre e non riesce a vedere i propri peccati, mentre negli altri scorge solo peccati; negli altri arriva, addirittura, a vedere il male dove c’è il bene. Per esempio arriva ad accusare di vanagloria chi generosamente si sacrifica per aiutare il prossimo bisognoso. Di lui afferma: “Fa del bene non per aiutare i bisognosi, ma per procurarsi stima e lode”. L’umile agisce in modo radicalmente diverso dal modo di agire dell’orgoglioso: scorge la gravità del suo peccato e si affida alla misericordia di Dio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Dobbiamo aggiungere che l’umile scusa i peccati degli altri, e se qualche volta è tentato di giudicare duramente l’operato del prossimo, immediatamente torna nel giusto binario, ricordandosi delle severe parole della Sacra Scrittura: “O uomo, chi ti ha eletto a giudice del tuo fratello? Colui che giudica è solo il Signore! Tu vedi solo le apparenze, Dio scruta i cuori”. Gesù conclude così la parabola: “Il pubblicano a differenza del fariseo, tornò a casa sua giustificato” In altre parole: il pubblicano andò al tempio da peccatore e tornò a casa sua purificato; il fariseo andò al tempio da peccatore, e tornò a casa sua ancora peccatore”. Tenendo presente ciò, lasciamo docilmente cadere nel nostro cuore il monito conclusivo di Gesù: “CHIUNQUE SI ESALTA SARA’ UMILIATO, CHI INVECE SI UMILIA SARA’ ESALTATO”. Sac. Salvatore Paparo

26 ott 2013

Fraterno rimprovero

Carissimo direttore don Roberto, in occasione della festa di Mons. Luigi Bettazzi, tramite posta elettronica, ti ho spedito una lettera indirizzata al festeggiato, con la preghiera di pubblicarla ne "IL RISVEGLIO POPOLARE". Purtroppo, non l'hai pubblicata! Non mi sembra una saggia decisione: il settimanale diocesano, infatti, ha un suo valore solo se ospita tutte le voci nello sforzo di creare nella carita' fraterna una Chiesa UNITA' NELLA MOLTIPLICITA'. Se cio' non avviene, il settimanale diocesano perde tutto il suo valore: esso ospitera' infatti, solo la voce di coloro che mirano dannosamente a creare una religione autoritaria di membri senza personalita' che, predicando sempre la carita' fraterna, nell'azione lottano duramente perche' nella diocesi REGNI L'UNIFORMISMO, CONDANNATO DA GESU', E NON L'UNITA' NELLA MOLTIPLICITA', VOLUTA DALLO SPIRITO SANTO. NEL SIGNORE GESU' RISORTO UNICO SALVATORE DEL MONDO, sac. Salvatore Paparo.

23 ott 2013

Lite’ tra parrocchie per Piova

02 agosto 2010 — pagina 21 sezione: Alto Canavese CINTANO. «Qui il padrone sono io. E sono io che decido». E’ autoritario don Angelo Bianchi, parroco di Castellamonte. Forse troppo per gli amministratori e i fedeli della piccola Cintano, minuscolo centro della Valle Sacra. Qui, in febbraio, era stato gravemente danneggiato il santuario di Piova da un’automobilista che aveva perso il controllo della propria auto. «Sono passati sei mesi - spiega la gente di Piova -, ma nessuno ha provveduto a risistemare l’edificio col rischio, per chi entra in chiesa, di venire colpito dai calcinacci che potrebbero staccarsi dalla facciata danneggiata». Proprio a Piova, nei prossimi giorni, è in programma, presso il santuario mariano, l’annuale festa della Madonna delle Neve, ed agli occhi di chi interverrà, non si presenterà certamente un bello spettacolo. Senza contare, particolare certo non trascurabile, il rischio incolumità. L’incidente, si diceva, era avvenuto in febbraio. L’autista che lo aveva provocato, a causa della neve sul fondo stradale, aveva perso il controllo della sua Opel “Safira” finendo contro il santuario e demolendone una parte del porticato (i danni accertati ammontano ad alcune decine di migliaia di euro). A tentare di restaurare il santuario ci avevano provato, senza risultato, don Salvatore Paparo (che ogni sabato celebra la messa a Piova) e alcuni componenti del Consiglio parrocchiale di Cintano «Purtroppo, da quando la parrocchia di Cintano è passata sotto il diretto controllo di quella di Castellamonte - spiegano due componenti del Consiglio, Maria Luisa Nigro e Antonio Giovando -, non sappiamo più niente di come viene impiegato il denaro versato dai gestori della Casa di riposo “Madonna delle Grazie”, nè, più in generale, della nostra stessa parrocchia». A riscuotere l’affitto della Casa di riposo, in effetti, ospitata in un’ala del santuario di Piova (circa 3 mila 300 euro al mese) è l’arciprete di Castellamonte don Angelo Bianchi. «Una quindicina di giorni fa - raccontano Maria Luisa Nigro (presidente del Consiglio parrocchiale) e Antonio Giovando (ex sindaco di Cintano) -, su sollecitazione di molti fedeli, abbiamo contattato un impresario edile della zona il quale ci ha assicurato che, in un paio di giorni, avrebbe messo in sicurezza il porticato. Mentre stavamo decidendo il da farsi, però, è sopraggiunto don Bianchi che stava scendendo da Sant’Elisabetta». Il sacerdote si sarebbe stizzito per l’iniziativa intrapresa senza il suo avallo tanto da sgridare bruscamente i cintanesi. «Don Bianchi ci ha ricordato che su Piova le decisioni le assume lui e soltanto lui - aggiungono Nigro e Giovando -. Vorremmo capire, allora, a che cosa serve il Consiglio parrocchiale. Non abbiamo, tuttavia, intenzione di rassegnare le dimissioni perché crediamo che il nostro compito sia ancora utile per la comunità di Cintano». Una bella grana, e a ridosso della festa. - Dario Ruffatto L’ARTICOLO DI RUFFATTO L’HO TROVATO IN INTERNET PUBBLICATO DA GOOGLE ALLA VOCE “SACERDOTE SALVATORE PAPARO”

Giuseppe De Carli nel bellissimo ricordo di Lucio Brunelli

Giuseppe De Carli nel bellissimo ricordo di Lucio Brunelli July 14th, 2010 admin Vedi anche:Con un santone come don Verzé, meglio le cene di Bertone (Ferrara) Un finanziere (e canonista) per i Legionari di Cristo: il commento di Frédéric Saliba per Le Monde (che meritetebbe una risposta)Ciao, Giuseppe! Il bellissimo e toccante ricordo di Angela AmbrogettiUn omaggio a Giuseppe De Carli: L’ultima intervista da cardinale di Joseph RatzingerLa scomparsa di Giuseppe De Carli: servizio di Rome Reports Card. Bagnasco: da Benedetto XVI un’immensa forza rinnovatrice per una nuova generazione di laici (Osservatore Romano)Vari esperti concordano sul fatto che il rinnovamento dei Legionari deve passare per l’azzeramento degli attuali vertici (El Milenio)Vaticano 1, Legionari 0 (Roberto Blancarte per El Milenio) Il sì alle donne vescovo irrevocabile per il Sinodo di York (Osservatore Romano)Cordoglio per la morte a Roma del vaticanista e scrittore Giuseppe De Carli (Radio Vaticana)Se Polanski fosse stato un cardinale: il commento di Ferdinando Cotugno (Riformista)Il Papa: Cattolici discriminati anche dove non sono minoranza. La libertà religiosa è via per la pace contro i fondamentalismi (Izzo) L’appello di Gesù alla conversione nel Vangelo odierno: alcune riflessioni di Benedetto XVI (Radio Vaticana)L’Herald Tribune (NYT versione internazionale) arriva oggi ad accusare il Vaticano (chi?) per il caso Bruges e punta l’indice sul card. DanneelsRivista San Francesco: E’ morto Giuseppe de Carli, giornalista RAI e collaboratore della nostra rivistaE’ morto il giornalista Giuseppe De Carli (Izzo)Caso Polanski, Le Le Monde registra solo dichiarazioni di giubilo. Del Ministro della cultura Frederic Mitterand (“Polanski può finalmente riunirsi alla comunità degli artisti”). Del Ministro degli esteri Kouchner. Dell’ex Ministro socialista Jack Lang. Del dirigente del Festival di Cannes Fremaux. Dello scrittore Bernard-Henri Levy. Del Presidente dell’Associazione cineasti polacchi BromskiCapitolo Generale Straordinario per i Legionari Presentato il tema scelto dal Papa per la 44.ma Giornata mondiale della pace: “Libertà religiosa, via per la pace”Il panegirico di Roman Polanski composto da Federico Rampini per “Repubblica”. Due pesi…due misure!L’incredibile intervista concessa da Polanski a Parigi nel 1979. All’epoca si potevano dire certe enormità? Sono davvero cambiati i tempi? È morto questa mattina il vaticanista Giuseppe De CarliCOMUNICATO: TEMA DELLA 44a GIORNATA MONDIALE DELLA PACE: “LIBERTÀ RELIGIOSA, VIA DELLA PACE””Libertà religiosa, via per la pace”: è questo il tema scelto da Benedetto XVI per la celebrazione della 44° Giornata mondiale della Pace del 2011Una brutta notizia: è morto il vaticanista Giuseppe De CarliL’ostensorio monumentale della Cattedrale di Toledo sarà usato per l’adorazione eucaristica della veglia della GMG 2011La psicologia degli umori e il pessimismo che non c’è: Sequeri risponde a CitatiArguto e pungente commento di Renato Pierri all’articolo di Citati Daniel Hamiche: A un anno dall’incontro tra il Papa e Obama freddi i rapporti tra Santa Sede e Usa Secondo Citati la coscienza del peccato, che colma il cuore di Benedetto XVI, può essere pericolosa (Repubblica). L’autore legga Messori!La Svizzera si aggrappa ad un cavillo e libera Polanski (Tedoldi)Caso Polanski, la giustizia non può essere uguale per tutti, se trattasi di artistaIl colpevole Polanski e l’innocente Papa Benedetto: lo showbiz di sinistra mostra la sua ipocrisia (Monumentale commento di Cristina Odone)L’incredibile “caso” Polanski ed i “due pesi e due misure” di mass media, politici ed intellettuali: fango sulla Chiesa, panegirici per il regista_______________________Riceviamo e con grandissimo piacere e gratitudine pubblichiamo:La scomparsa del vaticanista Giuseppe De Carli Lucio BrunelliGiuseppe De Carli era uno dei volti televisivi più noti e apprezzati della Rai. Il telecronista delle grandi cerimonie papali e dei grandi eventi religiosi. Per chi scrive era anche un amico leale oltre che un collega. Se ne andato com’era nel suo stile di lombardo pratico e anti-retorico: con discrezione, quasi in solitudine. Aveva tenuto nascosto a tutti noi, e persino ai pochi familiari rimasti, la gravità del suo male. Meno di due mesi fa, il 18 maggio, la sua ultima fatica: lo speciale in prima serata su Raidue dedicato a Giovanni Paolo II nel giorno del novantesimo compleanno del papa polacco. Un programma nel quale si era buttato come al solito a capofitto, con entusiasmo, senza fare troppo conto su aiuti esterni. Un successo, di critica e di ascolti. Se ne è andato a soli 58 anni. Era nato il 18 giugno 1952 a Lodi, da una famiglia di agricoltori. Aveva una grande curiosità e una grande voglia di imparare. Conseguì due lauree, approfondì le scienze religiose ottenendo un baccalaureato in teologia. Dopo il pensionamento di Vittorio Citterich, negli anni 90, fu lui a raccogliere il testimone di primo vaticanista al Tg1. In quegli stessi anni iniziò anche la collaborazione con l’Eco di Bergamo che continuò fino al 2002. Di solida e popolare fede cattolica viveva il suo lavoro come una vocazione, un servizio alla Chiesa e alla verità. Passione e coinvolgimento che non lo portavano né a nascondere le notizie né a chiudersi in un gergo vaticanistico per soli addetti ai lavori. E’ stato a quotidiano contatto con i grandi protagonisti della vita della Chiesa nell’ultimo quarto di secolo. In uno dei suoi documentari per me più belli, “Il cardinale Casaroli racconta…”, trasformò le memorie inedite del grande diplomatico vaticano in una pagina straordinaria di storia contemporanea.Verso Karol Wojtyla ebbe un’ammirazione sconfinata. Un cronista così speciale, innamorato della Chiesa e del mezzo televisivo, non poteva non vivere con esaltazione l’epopea del papa più mediatico della storia. Ne raccontò passo dopo passo tutte le novità, la frenetica ansia missionaria, i grandi gesti di dialogo, fino al viaggio più impegnativo e drammatico, verso la morte. Stimava sempre più anche Benedetto XVI, ma agli inizi gli veniva spontaneo nei commenti fare un raffronto fra le movenze del papa polacco e quelle del successore tedesco. Paragoni che non sempre piacevano ai fedelissimi di Ratzinger benché fosse lontana da lui l’idea di stilare classifiche dei papi più santi. Non aveva un carattere facile. Lo sanno bene i dirigenti Rai. Puntava i piedi e alzava la voce, senza riguardo per nessuno, quando sentiva che a Viale Mazzini non capivano. Dal 2003 fu a capo della struttura Rai vaticano ma si lamentò spesso, con noi, delle incomprensioni e delle miopie aziendali. Dovette sempre lottare. L’anno scorso si inventò, letteralmente, l’iniziativa della Lettura continuata della Bibbia in tv, notte e giorno, per una settimana. Riuscì con la sua caparbietà a coinvolgere persino il papa. Fu un successo televisivo mondiale, ancora una volta i perplessi dovettero ricredersi. Era un professionista molto sopra la media e un compagno gradevole. Nel marzo 2009 seguimmo insieme l’intenso viaggio di Benedetto XVI in Terra santa. Ci fu assegnata, a noi due, insieme per la prima volta sul Tg2, la telecronaca della messa del papa a Nazareth. Arrivammo nella città dell’infanzia di Gesù verso mezzanotte dopo una giornata con già tanti spostamenti e servizi da realizzare. Per i controlli della sicurezza bisognava essere sul Monte del precipizio alle 4 del mattino. Mettemmo la sveglia alle 3. La telecronaca iniziava alle nove. I poliziotti non ci facevano passare. Infine alle 6 raggiungemmo la postazione. Eravamo stravolti e avevamo buoni motivi per avere i nervi tesi. Furono invece ore piacevolissime, sia le due ore della telecronaca, come sempre da parte sua puntuale e intelligente, sia la lunga preparazione notturna passata alternando profonde discussioni sui grandi temi della chiesa e tentativi più goffi di convincere la security che non nascondevamo bombe ma solo microfoni e telecamere. A presto, caro Giuseppe. Dì una preghiera per noi, che facciamo il tuo stesso mestiere, e preparati

LETTERA APERTA AL NEO VESCOVO DELLA DIOCESI DI ROMA

LETTERA APERTA AL NEO VESCOVO DELLA DIOCESI DI ROMA FRANCESCO La Chiesa di Gesù, guidata dallo Spirito Santo, incomincia a vivere il suo momento storico: il momento della sua radicale conversione, indispensabile perchè il mondo creda che Gesù è l’UNICO SALVATORE DEL MONDO, INVIATO DAL PADRE CELESTE. Nella rivista cattolica “ADISTA” del 13 aprile 2013, leggo: “La Chiesa nelle mani di papa FRANCESCO, deve attraversare una profonda riforma, necessaria e urgente. Sono numerose le voci di teologi che, dopo l’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio, propongono non solo una piattaforma di provvedimenti, ma soprattutto un deciso cambiamento di direzione nella percezone stessa del papato e del ruolo del papa. Il padre domenicano brasiliano FREI BETTO, una delle voci più significative della Teologia della Liberazione, afferma: “La cosa più importante è cambiare la struttura di governo della Chiesa”. Il papa, non più “monarca assoluto”, deve spogliarsi dell’oro, avvicinarsi al popolo, ma anche “abbandonare titoli quali Sommo Pontefice e tutto quello che favorisce la qapolatria”. Ma soprattutto, insiste FREI BETTO, SIA LA VOCE DEI POVERI”. In questo mondo così iniquo, con disuguaglianze accentuate dal neoliberismo, segno di un “fallimento del capitalismo”, è molto importante che il papa si faccia espressione dei poveri, “perché non sia interpretato come un demagogo”. Jon Sobrino: l’utopia di GIOVANNI XXIII Che la Chiesa debba diventare autenticamente la voce dei poveri è rimarcato dal teologo salvadoregno JON SOBRINO in un intervento pubblicato sull’ultimo numero di Carta a LAS IGLESIAS: la più grande delle utopia, afferma, È REALIZZARE IL SOGNO DI GIOVANNI XXIII: “LA CHIESA E’ SOPRATTUTTO LA CHIESA DEI POVERI”. E se Bergoglio ha mostrato sensibilità nei loro confronti, occorre che abbia “lucidità per rendere reale la Chiesa dei poveri, che deve cessare di essere la Chiesa dei ricchi, dei borghesi”. “Speriamo che papa Francesco non rifugga da una Chiesa di perseguidati e martirizzati, come quella di mons. Romero e mons, Gerardi. Che li canonizzi o no, proclami che i martiri, come martiri della giustizia, sono la cosa migliore che abbiamo nella Chiesa. E’ ciò che li rende simili a Gesù di Nazaret. Per fare questo non è essenziale canonizzare l’arcivescovo Romero, anche se sarebbe un buon segno. E se il Papa cadrà in una umana debolezza, che sia il fatto di essere fiero della sua terra d’origine latino-americana, sofferente e piena di speranza, martire e sempre immersa in un processo di risurrezione. E che sia orgoglioso di un’intera generazione di vescovi: LEONIDAS PROANO, HELDER CAMARA, ALOISIUS LORSCHEDER, SAMUEL RUIZ”. Per quanto attiene a questioni più organizzative, Sobrino sollecita una riforma della Curia romana, i cui membri siano preferibilmente laici; che “Roma lasci alle Chiese locali la scelta dei loro pastori”; che scompaiano dall’entourage papale tutti i simboli del potere e della dignità mondana, e che il successore di Pietro cessi di essere capo di Stato: che Roma e la Chiesa intera sentano come offesa a Dio l’attuale separazione delle Chiese cristiane”; che venga risolta la situazione dei cattolici che “hanno fallito nel loro primo matrimonio e hanno trovato stabilità in un secondo legame”; che Roma ripensi

LE DONNE SIANO AMMESSE AL MINISTERO SACERDOTALE.

Certamente Gesù ordinando sacerdoti solo uomini non voleva escludere il sacerdozio ministeriale femminile. Se Gesù avesse ordinato sacerdoti anche le donne avrebbe fatto un gesto clamoroso che la Società umana sua contemporanea non era in grado di recepire. Gesù rispetta l'evoluzione degli uomini: essi migliorano gradualmente la conoscenza della verità sia nel campo prettamente umano sia nel campo religioso" LO SPIRITO SANTO VI CONDURRA' A TUTTA LA VERITA' "(Gv. 16,13). Questa frase include la gradualità della conoscenza del contenuto delle verità rivelate anche se dobbiamo ammettere che la rivelazione del deposito rivelato si è conclusa con la morte dell'ultimo Apostolo. La Società umana moderna è pronta ad accettare il ministero sacerdotale delle donne perché si è convinta che l'uomo e la donna hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Del resto una conferma del diritto della donna al ministero sacerdotale ci proviene dal fatto CHE MARIA SANTISSIMA E' SACERDOTE. Ecco la prova: Maria Santissima al momento dell'Annunciazione del concepimento verginale di Gesù, dall'Arcangelo Gabriele ha ricevuto anche la notizia del concepimento miracoloso del Precursore di Gesù nel seno di Santa Elisabetta. Maria Santissima" IN FRETTA" va dalla sua cugina. Il motivo principale di questa visita era la santificazione di Giovanni Battista ancora nel seno materno. Detta santificazione è avvenuta così: " MARIA ENTRO' IN CASA DI ZACCARIA E SALUTO' ELISABETTA. APPENA ELISABETTA UDI' IL SALUTO, IL BAMBINO DENTRO DI LEI EBBE UN FREMITO, ED ESSA FU COLMATA DI SPIRITO SANTO E A GRAN VOCE ESCLAMO' : - DIO TI HA BENEDETTA PIU' DI TUTTE LE DONNE . PERCHE’ MAI LA MADRE DEL MIO SIGNORE VIENE A FARMI VISITA ? APPENA HO SENTITO IL TUO SALUTO, IL BAMBINO SI E' MOSSO IN ME PER LA GIOIA" (Lc. 1,39-44). Gesù nel seno verginale di Maria santificò il suo Precursore nel seno di Elisabetta. Praticamente è avvenuta l'amministrazione del Battesimo di San Giovanni Battista; MA QUESTA AMMINISTRAZIONE del Battesimo di Giovanni Battista, HA AVUTO UNO STRUMENTO MINISTERIALE: MARIA SANTISSIMA. DIFATTI E' AVVENUTA "AL SALUTO DI MARIA". MARIA con il saluto a Santa Elisabetta HA ESERCITATO IL SUO SACERDOZIO MINISTERIALE così come fanno gli altri sacerdoti pronunziando le parole della forma dei Sacramenti. Essi prestano la voce a Gesù per pronunziare la forma dei vari sacramenti, ma chi AMMINISTRA I SACRAMENTI E' GESU': " CRISTO... E' PRESENTE CON LA SUA VIRTU' NEI SACRAMENTI DI MODO CHE QUANDO UNO BATTEZZA E' CRISTO STESSO CHE BATTEZZA" (Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Ecumenico Vaticano Il. Cap. 1 n. 7). FRATELLO PAPA FRANCESCO, NON RINVIARE L’INDIZIONE DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO III. OGNI RINVIO E’ UNA RESISTENZA ALLO SPIRITO SANTO. NEL SIGNORE GESU’ RISORTO, UNICO SALVATORE DEL MONDO. IL TUO FRATELLO Sac. Salvatore Paparo Cintano 21 ottobre 2013

21 ott 2013

LE DONNE SIANO AMMESSE AL MINISTERO SACERDOTALE.

Certamente Gesù ordinando sacerdoti solo uomini non voleva escludere il sacerdozio ministeriale femminile. Se Gesù avesse ordinato sacerdoti anche le donne avrebbe fatto un gesto clamoroso che la Società umana sua contemporanea non era in grado di recepire. Gesù rispetta l'evoluzione degli uomini: essi migliorano gradualmente la conoscenza della verità sia nel campo prettamente umano sia nel campo religioso" LO SPIRITO SANTO VI CONDURRA' A TUTTA LA VERITA' "(Gv. 16,13). Questa frase include la gradualità della conoscenza del contenuto delle verità rivelate anche se dobbiamo ammettere che la rivelazione del deposito rivelato si è conclusa con la morte dell'ultimo Apostolo. La Società umana moderna è pronta ad accettare il ministero sacerdotale delle donne perché si è convinta che l'uomo e la donna hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Del resto una conferma del diritto della donna al ministero sacerdotale ci proviene dal fatto CHE MARIA SANTISSIMA E' SACERDOTE. Ecco la prova: Maria Santissima al momento dell'Annunciazione del concepimento verginale di Gesù, dall'Arcangelo Gabriele ha ricevuto anche la notizia del concepimento miracoloso del Precursore di Gesù nel seno di Santa Elisabetta. Maria Santissima" IN FRETTA" va dalla sua cugina. Il motivo principale di questa visita era la santificazione di Giovanni Battista ancora nel seno materno. Detta santificazione è avvenuta così: " MARIA ENTRO' IN CASA DI ZACCARIA E SALUTO' ELISABETTA. APPENA ELISABETTA UDI' IL SALUTO, IL BAMBINO DENTRO DI LEI EBBE UN FREMITO, ED ESSA FU COLMATA DI SPIRITO SANTO E A GRAN VOCE ESCLAMO' : - DIO TI HA BENEDETTA PIU' DI TUTTE LE DONNE . PERCHE’ MAI LA MADRE DEL MIO SIGNORE VIENE A FARMI VISITA ? APPENA HO SENTITO IL TUO SALUTO, IL BAMBINO SI E' MOSSO IN ME PER LA GIOIA" (Lc. 1,39-44). Gesù nel seno verginale di Maria santificò il suo Precursore nel seno di Elisabetta. Praticamente è avvenuta l'amministrazione del Battesimo di San Giovanni Battista; MA QUESTA AMMINISTRAZIONE del Battesimo di Giovanni Battista, HA AVUTO UNO STRUMENTO MINISTERIALE: MARIA SANTISSIMA. DIFATTI E' AVVENUTA "AL SALUTO DI MARIA". MARIA con il saluto a Santa Elisabetta HA ESERCITATO IL SUO SACERDOZIO MINISTERIALE così come fanno gli altri sacerdoti pronunziando le parole della forma dei Sacramenti. Essi prestano la voce a Gesù per pronunziare la forma dei vari sacramenti, ma chi AMMINISTRA I SACRAMENTI E' GESU': " CRISTO... E' PRESENTE CON LA SUA VIRTU' NEI SACRAMENTI DI MODO CHE QUANDO UNO BATTEZZA E' CRISTO STESSO CHE BATTEZZA" (Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Ecumenico Vaticano Il. Cap. 1 n. 7). FRATELLO PAPA FRANCESCO, NON RINVIARE L’INDIZIONE DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO III. OGNI RINVIO E’ UNA RESISTENZA ALLO SPIRITO SANTO. NEL SIGNORE GESU’ RISORTO, UNICO SALVATORE DEL MONDO. IL TUO FRATELLO Sac. Salvatore Paparo Cintano 21 ottobre 2013

16 ott 2013

IL MATRIMONIO E’ INDISSOLUBILE.

E’ vero che il matrimonio è indissolubile. La sua indissolubilità, però, non è fisica ma solo morale. PROVA DELL'AFFERMAZIONE : l' indissolubilità del matrimonio è fondata sull'amore reciproco dei coniugi come sull'amore reciproco è fondata l'indissolubilità delle Tre Persone Divine e l'indissolubilità del matrimonio tra Gesù lo Sposo e la Chiesa la Sposa. Se, per impossibile, le Tre Persone Divine cessassero di amarsi, si spezzerebbe la loro unità, e si dissolverebbe lo stesso Dio. Se, per impossibile, Gesù non amasse più la Chiesa e la Chiesa non amasse più Gesù, Gesù e la Chiesa romperebbero la loro unità sponsale. Ciò che non è possibile nella Trinità Divina e in Gesù e nella Chiesa, si può, invece, verificare, e spesso si verifica, tra i coniugi cristiani e non cristiani. Come l'esperienza ci attesta, avviene che dei coniugi dissolvano IRRIMEDIABILMENTE il loro matrimonio per colpa di uno solo o di entrambi. Ciò ci induce ad affermare che l'indissolubilità del matrimonio, per esprimerci in termini filosofici, E' DI ORDINE MORALE E NON FISICO. Ossia: I CONIUGI, PUR ESSENDO TENUTI IN COSCIENZA A RIMANERE UNITI, HANNO LA TRISTE COLPEVOLE POSSIBILITA' DI ROMPERE IL LORO MATRIMONIO. Alla medesima conclusione ci porta la riflessione sulla natura dei precetti negativi: Dio ordina all'uomo di non compiere un determinato atto perché l'uomo è in grado di compierlo, BENCHE' COLPEVOLMENTE. Se l'uomo non avesse la possibilità di compiere un determinato atto PECCAMINOSO, Dio non glielo vieterebbe: così non gli vieterebbe di rubare, se l’uomo non potesse rubare. Allo stesso modo, Gesù non avrebbe imposto agli sposi il precetto: “ L’UOMO NON DIVIDA CIO’ CHE DIO HA UNITO” (Mt. 19,6), se i coniugi non potessero separarsi. La dissoluzione del matrimonio IRRIMEDIABILE COME IRRIMEDIABILE E' L'UCCISIONE DI UN UOMO, ASSUME UNA GRAVE COLPEVOLEZZA. MA LA CHIESA NEI CONFRONTI DEI CONIUGI COLPEVOLI DIVORZIATI E RISPOSATI CON UNA TERZA PERSONA, OGGI DEVE USARE MAGGIORE MISERICORDIA CHE NON IN PASSATO. Come perdona l'omicida veramente pentito, pur essendo egli nell'impossibilità di ridare la vita al fratello ucciso, così deve perdonare ed AMMETTERE AI SACRAMENTI i coniugi divorziati, se veramente pentiti, anche se si trovano nell'impossibilità di ricostituire la loro unità e si sono sposati con un'altra donna o con un altro uomo. UNO STUDIO ACCURATO DI GIOVANNI CERETI PROVA CHE NEI PRIMI SECOLI LA CHIESA, AI DIVORZIATI E RISPOSATI, CONCEDEVA DI CONTINUARE A CONVIVERE CON IL NUOVO CONIUGE, SE ERANO VERAMENTE PENTITI E SI SOTTOMETTEVANO AD UNA ADEGUATA PENITENZA. Sac. Salvatore Paparo

14 ott 2013

NOVANTASESIMO ANNIVERSARIO

DELL’ULTIMA APPARIZIONE DI MARIA SANTISSIMA A FATIMA. DOMENICA 13 OTTOBRE 2013 OMELIA Maria Santissima, la nostra comune Mamma, nei primi due millenni della Redenzione, operata da Gesù con la Sua Passione, Morte e Risurrezione, si è sempre interessata di noi, con particolare premura materna. E’ intervenuta spesso per il nostro bene, servendosi dei bambini. Pertanto, in vista del terzo millennio che abbiamo appena iniziato e che realizzerà l’Età Aurea della Redenzione, lunghissimo periodo di pace e di benessere mondiali messianici, non possiamo trascurare le Apparizioni della Madonna a Fatima e a Medjugorje. La Madonna, da maggio a ottobre del 1917, apparve il giorno 13 di ogni mese a tre pastorelli di Fatima Lucia, Francesco e Giacinta. In tutte e sei le Apparizioni, la Madonna ha chiesto loro la recita quotidiana del rosario per ottenere da Dio la fine della prima guerra mondiale e l’inizio della pace mondiale messianica. In sostanza il messaggio materno di Fatima è questo: “ La prima guerra mondiale sta per finire; ma se gli uomini non smetteranno di offendere Dio, sotto il prossimo pontificato, ne comincerà un’altra ancora peggiore. La Russia spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati; il Papa cadrà come morto sotto i colpi di arma da fuoco “. Poiché noi uomini non ci convertimmo e continuammo a peccare, dal 1939 al 1945 fummo vittime della seconda guerra mondiale, la più tremenda guerra della storia umana; la Russia sparse i suoi errori nel mondo, causò molte guerre, perseguitò la Chiesa, sparse tanto sangue di martiri. Anche la profezia sul Papa si avverò: il 13 maggio del 1981, il Papa Giovanni Paolo II fu colpito a morte con un’arma da fuoco sparata da Alì Agca. Come sappiamo, il Papa si salvò, ed egli giustamente attribuì la sua salvezza all’intervento materno di Maria. Scrisse: “FU UNA MANO MATERNA A GUIDARE LA TRAIETTORIA DELLA PALLOTTOLA E IL PAPA AGONIZZANTE SI FERMO’ SULLA SOGLIA DELLA MORTE”. Detto questo, rileviamo che il messaggio della Madonna di Fatima si conclude con una confortante profezia: “ ALLA FINE IL MIO CUORE IMMACOLATO TRIONFERA’ ED IL MONDO AVRA’ UN PERIODO DI PACE”. E qui dobbiamo inserire le Apparizioni della Madonna a Medjugorje. Il 24 giugno del 1981, la Madonna apparve a sei bambini di Medjugorje, piccolo paese della ex Jugoslavia. Da allora le Apparizioni non si sono mai interrotte. Ancora oggi la Madonna continua ad apparire ai suoi privilegiati. Non ci sfugga la data dell’attentato al Papa. Esso avvenne, come abbiamo detto, il 13 maggio del 1981; quindi proprio nel giorno anniversario della Prima Apparizione della Madonna a Fatima. E questa data ha un profondo significato. A Medjugorje, infatti, la Madonna si presenta come LA REGINA DELLA PACE e precisa lo scopo della sua venuta affermando: “IO SONO VENUTA A MEDJUGORJE PER PORTARE A COMPIMENTO CIO’ CHE HO INIZIATO A FATIMA”. Praticamente le Apparizioni della Madonna a Medjugorje si concluderanno con la realizzazione della profezia di Fatima: “ALLA FINE IL MIO CUORE IMMACOLATO TRIONFERA’ E IL MONDO AVRA’ UN PERIODO DI PACE”. Cioè, e il mondo godrà il lunghissimo periodo DELLA PACE MONDIALE MESSIANICA profetizzata dagli angeli alla nascita di Gesù a Betlem: “PACE IN TERRA AGLI UOMINI CHE DIO AMA”. Prima di concludere desidero accentuare quanto segue: Maria Santissima, a Fatima, nella sua Apparizione del 13 settembre, promise che il 13 ottobre avrebbe compiuto un grande miracolo per provare la veridicità delle sue Apparizioni. Il 13 ottobre del 1917, nel luogo delle Apparizioni si radunò un’immensa folla di circa 70.000 persone. Pioveva e faceva freddo. Verso mezzogiorno la veggente Lucia comandò di chiudere gli ombrelli e la folla, quasi per incanto, ubbidì. A mezzogiorno in punto, come al solito, la Madonna comparve e si intrattenne amorevolmente con i tre bambini. Finito il colloquio, salì verso il cielo. Lucia gridò: “GUARDATE IL SOLE”. La pioggia cessò d’incanto, le nubi si squarciarono e apparve il prodigio: tutti videro il sole simile ad un disco d’argento girare vorticosamente su se stesso. Ad un tratto, tutti i presenti ebbero la sensazione che il sole si staccasse dal cielo e si precipitasse sul loro capo. La folla gridò : “MIRACOLO! MIRACOLO! ”. Poi, atterriti, tutti caddero in ginocchio nel fango, recitando un sincero atto di pentimento dei loro peccati: “ MIO DIO, PERDONO! PIETA’! “. Il fenomeno solare durò dieci minuti: lo videro tutti, credenti e increduli; ignoranti e dotti. Lo videro anche i liberi pensatori che erano venuti nel luogo delle Apparizioni con l’intento di sfatare una volta per sempre la fama di Fatima. Tutti si alzarono trasognati, si toccarono gli abiti qualche istante prima sporchi e gocciolanti e si costatarono copletamente asciutti e ripuliti. Nessuno potè avere il minimo dubbio: LA MADONNA AVEVA MANTENUTO LA SUA PROMESSA. Le Apparizioni della Madonna a Fatima si conclusero con la visione, accanto al sole, della Sacra Famiglia di Nazaret, di Gesù, di Maria e di Giuseppe; e ciò PERCHE’ L’ETA’ AUREA DELLA REDENZIONE CON LA PACE E IL BENESSERE MONDIALI MESSIANICI A CUI STIAMO ANDANDO INCONTRO, SARA’ FONDATA SULLA SANTITA’ DELLA FAMIGLIA, CREATA AD IMMAGINE E SOMIGLIANZA DELLA FAMIGLIA TRINITARIA DI DIO PADRE, DI DIO FIGLIO, DI DIO SPIRITO SANTO. Sac. Salvatore Paparo

10 ott 2013

Carissimi Redattori della raivaticano

sono il sacerdote Salvatore Paparo che voi ben conoscete. Vi prego di consegnare la seguente lettera al PAPA FRANCESCO. Carissimo Papa Francesco, desidero farti una confidenza: tanti anni fa, ho scritto un articolo dal titolo: "PRETI SPOSATI". Il 20 ottobre 2012 una responsabile del sito www.ildialogo.org mi inviò una e-mail in cui mi comunicò che il mio articolo era stato inserito nella loro rubrica "PRETI SPOSATI? SI' , GRAZIE!". Il numero dei lettori del mio articolo è cresciuto di giorno in giorno con un buon ritmo. 4 ottobre 2013 FESTA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI, GIORNO DELLA TUA VISITA ALLA CITTA' DEL SANTO. Apro il computer e nel sito www.ildialogo.org leggo che i lettori del mio articolo hanno raggiunto la significativa cifra di mille. Carissimo fratello Papa Francesco, sotto questa luce, io mi domando: Non è finalmente giunto il momento di abolire la legge canonica che vieta il matrimonio al clero cattolico di Rito Latino, e di lasciare al clero piena libertà di scelta tra IL MATRIMONIO PER IL REGNO DI DIO, E ILCELIBATO PER IL REGNO DI DIO? Io sono pienamente convinto che è giunto questo momento di grazia: IL CLERO SPOSATO PER IL REGNO DI DIO HA UNA NOBILE MISSIONE: L'ETA' AUREA DELLA REDENZIONE CHE LO SPIRITO SANTO STA LENTAMENTE E GRADUALMENTE REALIZZANDO, LUNGO PERIODO DI PACE MONDIALE MESSIANICA, CHE PREPARERA' "I CIELI NUOVI E LA TERRA NUOVA", SARA' FONDATA SULLA SANTITA' DELLA FAMIGLIA, CREATA AD IMMAGINE E SOMIGLIANZA DELLA FAMIGLIA TRINITARIA DI DIO PADRE, DI DIO FIGLIO, DI DIO SPIRITO SANTO. NEL SIGNORE GESU' RISORTO, UNICO SALVATORE DEL MONDO. Sac. Salvatore Paparo In allegato t'invio il mio articolo "PRETI SPOSATI".

PRETI SPOSATI

Senza dubbio uno dei principali segni dei nostri tempi è l’impetuosa ed inarrestabile spinta dello Spirito Santo a che la Chiesa Cattolica riesca a superare l’istintivo sospetto sul sesso, retaggio di una cultura non biblica e non evangelica, ed abolisca la legge canonica che impone ai Preti di Rito Latino l’obbligo del celibato. L’abolizione del celibato obbligatorio, favorirà l’avvento di una schiera di preti Sposati che con le loro spose e i loro figli saranno modello familiare e stimoleranno efficacemente le famiglie cristiane a comportarsi in modo da essere affascinante immagine della Famiglia Trinitaria di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo, come pure dell’amore che unisce gli Sposi per eccellenza, Gesù e la Chiesa. LA CHIESA E’ NATA COME CHIESA DOMESTICA San Paolo nella prima lettera ai Corinzi ci notifica che tutti gli Apostoli, o quasi, erano sposati e che le loro mogli li accompagnavano nei viaggi apostolici: "Non abbiamo anche noi il diritto di portare con noi una moglie credente come l’hanno gli altri Apostoli e i fratelli del Signore e Pietro?" (1 Cor 9,5). Le Lettere Pastorali, come condizione indispensabile all’Ordinazione di un Vescovo-Presbitero, esigevano che il candidato si fosse sposato una volta sola e avesse dimostrato di essere un prudente e buon padre di famiglia: "Chi, infatti, non sa governare la sua casa, come potrà avere cura della Chiesa di Dio?" (1 Tm 3,1-5). Prima del quarto secolo, non esiste nessuna legge canonica che vieta agli sposati di ricevere il Sacramento del Sacerdozio o che proibisce il matrimonio ai sacerdoti celibi al momento dell’Ordinazione. In via ordinaria Sacerdoti e Vescovi erano sposati; solo qualcuno sceglieva il celibato. I documenti dell’epoca parlano con naturalezza e semplicità delle spose dei vescovi, dei Sacerdoti e dei loro figli. Così, ad esempio, veniamo a sapere che S. Gregorio di Nazianzo, nato nel 319, era figlio di un Vescovo, divenne lui stesso Vescovo ed ereditò da suo padre la Diocesi di Nazianzo. Storicamente ci risulta che la prima legge ecclesiastica non riguarda il celibato in se stesso ma l’esercizio del sesso da parte dei Vescovi, dei Sacerdoti e dei Diaconi sposati. Essa fu emanata per il clero spagnolo dal Sinodo di Elvira circa l’anno 300-306: "Vescovi, Preti, Diaconi e tutti i Chierici posti al servizio dell’altare, devono astenersi da rapporti con le loro mogli e non è loro lecito mettere al mondo figlioli. Chi si oppone perde la carica" (Can. 33). Come appare dal testo, il Sinodo proibì al clero sposato di avere rapporti intimi con le proprie mogli perché attribuiva a detti atti una qual certa dose di impurità che rendeva il clero indegno della Celebrazione Eucaristica. Al di là di ogni altra considerazione, non possiamo esimerci dal rilevare che il Sinodo non poteva emanare la succitata norma perché nessuna legge umana può dichiarare impuro un atto naturale né proibire a dei coniugi legittimamente sposati gli atti intimi che sono propri del matrimonio da Dio istituito. Il Concilio Ecumenico Vaticano II parla degli atti intimi degli sposi in ben altra maniera: "L’amore dei coniugi è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti con i quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onorabili e degni e, compiuti in modo veramente umano favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi" (Gaudium et Spes n. 49). Al Concilio Ecumenico di Nicea (anno 325) gli Spagnoli volevano imporre la legge di Elvira a tutta la Chiesa. Il Vescovo Panuzio, però, riuscì a convincere i Padri Conciliari a non seguire l’esempio spagnolo appoggiandosi principalmente su tre argomenti: A. 1.Non è giusto imporre agli ecclesiastici il giogo del celibato. B. 2.Il matrimonio è santo e puro. C. 3.L’eventuale istituzione della legge del celibato è un rischio per la virtù delle mogli abbandonate. Purtroppo in seguito la Chiesa Latina ripudiò lo spirito del Concilio di Nicea sicché Papa Gregorio VII, nel secolo XI, impose ai vescovi e Sacerdoti sposati di astenersi dagli atti coniugali e di rimandare la propria moglie. A partire dal Primo Concilio del Laterano (anno 1129) non furono più ordinati uomini sposati: l’ordinazione fu riservata agli uomini liberi da ogni legame con una donna cioè ai vedovi e ai celibi. La storia del celibato ecclesiastico pone in risalto molte pecche umane in contraddizione con la legge naturale ed evangelica. Pur lasciando doverosamente ogni giudizio delle persone a Dio, l’unico che scruta i cuori, la Chiesa contemporanea è chiamata a riconoscere con umiltà tali ombre e a riparare il passato assecondando docilmente la voce dello Spirito che le chiede di abolire l’obbligatorietà del celibato del clero: il tempo e il modo per giungere a tale meta improcrastinabile si potrebbe lasciare alla prudenza delle singole Chiese Diocesane: forse è bene che si proceda per legge locale e non per leggi universali, per rispettare i diversi gradi di sensibilità e di maturità. Se l’impegno per il Regno di Dio esige ancora che parte del clero sia celibe, lo Spirito Santo non farà mancare alla Chiesa i preti celibi: lasciamo a Lui la piena libertà di scelta e a noi l’illimitata fiduciosa sottomissione alle sue scelte; sottomettiamoci con gioia allo Spirito che vuole una moltitudine di preti sposati per la prossima Era di amore e di pace basata sulla santità della famiglia. Nel passato si è insistito e lavorato per avere un clero celibe per il Regno di Dio. Nel futuro si dovrà insistere e lavorare anche per un clero sposato per il Regno di Dio; la sposa che condivide l’impegno pastorale con lo sposo sacerdote non è un ostacolo ma un aiuto, un complemento. Ci sarà un ministero di coppia con efficacia di incalcolabile portata. Sac. Salvatore Paparo

4 ott 2013

FESTA DELLA MADONNA DEL ROSARIO

Domenica 6 ottobre 2013 Omelia Oggi, festa della Madonna del Rosario, anziché commentare, come al solito, la Parola di Dio, ci soffermiamo un pochino sulla recita del Rosario. Rosario significa giardino di rose. Recitare la corona del Rosario significa intrecciare una corona fatta non di rose materiali ma di rose simboliche. Significa cioè intrecciare una corona di 50 Ave Maria da offrire alla Madonna. E’ una devozione tanto gradita alla Madonna: l’ha chiesta Lei stessa a san Domenico di Guzman nel tredicesimo secolo; e da allora la Madonna ha ripetuto la sua richiesta in tutte le sue principali Apparizioni come, ad esempio, a Lourdes e a Fatima, ponendovi anche una speciale intenzione: “RECITATE OGNI GIORNO IL ROSARIO PER LA PACE NEL MONDO” : LA MADONNA SI RIFERISCE ALLA FINE PER SEMPRE DI TUTTE LE GUERRE FRATRICIDE E ALL’INIZIO DELLA PACE MONDIALE MESSIANICA CHE GRADUALMENTE PREPARERA’ “I CIELI NUOVI E LA TERRA NUOVA”, PROFETIZZATI DA DIO NELLA SACRA SCRITTURA. Il motivo principale per cui la Madonna insiste perché noi diventiamo devoti della recita del Rosario, senza dubbio, risiede nel fatto che l’AVE MARIA è ricca di contenuto teologico. La prima parte raccoglie le parole rivolte a Maria dall’arcangelo Gabriele al momento dell’Annunciazione della nascita di Gesù, e da Santa Elisabetta al momento della Visitazione: Maria è “LA PIENA DI GRAZIA” Colei che non può ricevere altri doni da Dio perché Dio ha riversato su di Lei tutte le meraviglie che una creatura può contenere tanto che San Tommaso potè esclamare: “TU, O MARIA HAI TOCCATO I CONFINI DELLA DIVINITA’”. Dopo aver detto “Ave Maria, piena di Grazia” continuiamo così: “TU SEI BENEDETTA FRA LE DONNE”, ossia: Maria è la donna più venerata perché è la donna più santa, più alta in dignità. Lo intuì Lei stessa, Maria, quando sotto l’azione dello Spirito Santo profetizzò: “D’ORA IN POI TUTTE LE GENERAZIONI MI CHIAMERANNO BEATA”. Le parole “E BENEDETTO IL FRUTTO DEL TUO SENO GESU’”, CONCLUDONO LA PRIMA PARTE DELL’Ave Maria e ci aprono la porta della sua seconda parte: “SANTA MARIA, MADRE DI DIO”. Maria è Madre di Dio non perché ha dato la vita a Dio. E’ un assurdo: una creatura non può dare la vita al SUO CREATORE. Maria è Madre di Dio nel senso che ha dato la vita umana a Gesù, e Gesù non è solo UOMO, MA ANCHE DIO”. Maria, la Madre di Dio, E’ ANCHE LA NOSTRA COMUNE MAMMA. Lo deduciamo dalla dottrina del CORPO MISITICO. Gesù e noi, ci insegna San Paolo, FORMIAMO UN UNICO CORPO MISTICO DI CUI GESU’ E’ LA TESTA E NOI LE VARIE MEMBRA. Ora è chiaro che la donna che genera la testa, genera anche le membra. Ebbene, Maria che ha generato GESU’ LA TESTA DEL CORPO MISTICO, HA GENERATO ANCHE NOI CHE SIAMO LE MEMBRA DI GESU’”. Dunque, Maria non è solo MADRE DI GESU’ DIO, MA E’ ANCHE NOSTRA MADRE. La duplice maternità di Maria ci deve indurre a coltivare un’immensa fiducia verso di Lei; a lei dobbiamo ricorrere nelle nostre necessità, sicuri che ci esaudirà. Infatti Maria è una mamma buona e potente. In quanto mamma buona ci vuole aiutare; in quanto mamma potente ci può aiutare e ci aiuta. Immediatamente dopo aver detto: “Santa Maria, Madre di Dio”, aggiungiamo: “PREGA PER NOI PECCATORI”. Riconoscersi peccatori è il primo passo verso la conversione e la salvezza, come riconoscere la malattia corporale è il primo passo verso la guarigione in quanto la giusta diagnosi suggerisce la giusta terapia. L’Ave Maria si conclude così: “PREGA PER NOI PECCATORI ADESSO E NELL’ORA DELLA NOSTRA MORTE”. “Adesso”, perché abbiamo sempre bisogno dell’aiuto di Dio: infatti, senza Dio non possiamo fare nulla di buono come il tralcio staccato dalla vite non può fruttificare grappoli di uva. “Nell’ora della nostra morte”. Maria deve pregare per noi soprattutto nell’ora della nostra morte perché il momento della nostra morte decide la nostra sorte eterna. Quanto abbiamo detto ci sospinga ad accogliere l’invito di Maria Santissima a recitare ogni giorno la corona del Rosario. E ciò non solo in forma individuale, ma anche in forma collettiva nel seno della propria famiglia perché la famiglia che prega unita vive unita. Sac. Salvatore Paparo Cintano 4 ottobre 2013, FESTA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI

30 set 2013

IL RICCO EPULONE E LAZZARO

XXVI DOMENICA PER ANNUM C 29 SETTEMBRE 2013 OMELIA La parabola evengelica di oggi inizia descrivendo la diversa situazione di vita di due uomini: uno di essi è molto ricco, si veste in modo lussuoso, e ogni giorno organizza lauti banchetti; il secondo uomo, invece, è poverissimo, per vestito ha le sue tante piaghe sparse in tutto il suo corpo; per la sua debolezza non si regge in piede e sta sdraiato per terra; per sopravvivere deve acconterarsi di mangiare le briciole che cadono dalla mensa del ricco. Il ricco e il povero hanno una sola cosa in comune: come tutti gli altri uomini sono mortali: e difatti muoiono tutti e due. Nella vita dell’al di là, però, la situazione di vita dei due uomini è del tutto capovolta: il ricco va in un luogo di tormenti; il povero, invece, va in un luogo di perfetta felicità. A questo punto dobbiamo accentuare che, nel luogo del tormento, il ricco non può ricevere il benchè minimo sollievo. Leggiamo, infatti, che il ricco, alzando gli occhi verso l’alto, vede Lazzaro accanto al Padre Abramo al quale rivolge questa supplica: “ Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma padre Abramo gli rispose:”Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu, invece, sei in mezzo ai tormenti. Tra noi e voi, poi, c’è un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono; né di lì possono giungere fino a noi”. Il ricco replicò: “Allora, Padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammoniscano severamente perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo gli rispose: “Hanno Mosè e i profeti: ascoltino loro”. Il ricco replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo concluse: “”SE NON ASCOLTANO MOSE’ E I PROFETI, NON SARANNO PERSUASI NEANCHE SE UNO RISORGESSE DAI MORTI”. E qui, con tanta tristezza, penso alle tante persone che affermano: “NESSUNO E’ MAI VENUTO DALL’AL DI LA’ “. E quel che più mi rattrista è il fatto che queste persone si credono e si dicono cristiane. Esse non si rendono conto che pensando e parlando così, RIFIUTONO GESU’: GESU’, INFATTI, NON E’ FORSE VENUTO DALL’AL DI LA’ ? “; NON E’ FORSE IL FIGLIO DI DIO FATTOSI UOMO, IL FIGLIO DI DIO CHE E’ VENUTO IN MEZZO A NOI PER DIRCI CHE DIO E’ NOSTRO PADRE, PER DIRCI CHE NOI SIAMO FIGLI DI DIO, CHE SIAMO FRATELLI E SORELLE TRA DI NOI E CHE CI ATTENDE TUTTI IN CIELO PER RENDERCI PEFETTAMENTE FELICI?”. ESAMINIAMOCI CON SINCERITA’ E PREGHIAMO COSI’: “SIGNORE DIO NOSTRO PADRE, LA MIA FEDE IN TE E’ DEBOLE. AUMENTA LA MIA FEDE”. Sac. Salvatore Paparo

28 set 2013

Amatissimo

Amatissimo e stimatissimo mons. Luigi, dal settimanale diocesano “Il Risveglio Popolare”, apprendo che la diocesi di Ivrea il prossimo 6 ottobre festeggerà il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione episcopale. Le manifesto la mia gioia trascrivendole LA MIA QUINTA LETTERA AL SIGNORE GESU’ RISORTO, UNICO SALVATORE DEL MONDO: 21 GIUGNO 2012, FESTA DI SAN LUIGI GONZAGA, ONOMASTICO DEL VESCOVO MONS. LUIGI BETTAZZI GRANDE APOSTOLO DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, INGIUSTAMENTE CRITICATO DALLA GERARCHIA CATTOLICA. Amatissimo SIGNORE GESU’ RISORTO, UNICO SALVATORE DEL MONDO, il Concilio Ecumenico Vaticano III, già dolcemente e sapientemente INIZIATO DALLO SPIRITO SANTO, avrà una lunghissima celebrazione: durerà il tempo che sarà necessario perché i CRISTIANI, allo scandalo che fino adesso hanno offerto al mondo con la loro divisione, facciano seguire L’ATTRAZIONE ALLA TUA PERSONA, offrendo al mondo lo spettacolo DELLA LORO UNITA’, FRUTTO DEL LORO RECIPROCO AMORE FRATERNO. Allora si realizzeranno le tue due seguenti profezie: “PADRE, CHE SIANO UNA SOLA COSA COME IO E TU SIAMO UNA SOLA COSA. COSI’ IL MONDO CREDERA’ CHE TU MI HAI MANDATO”. “HO ALTRE PECORE CHE NON SONO IN QUESTO GREGGE. ANCHE DI LORO DOVRO’ DIVENTARE PASTORE. ASCOLTERANNO LA MIA VOCE, E DIVENTERANNO UN SOLO GREGGE SOTTO LA GUIDA DI UN SOLO PASTORE”. Uno dei tantissimi tuoi umili strumenti DEL TUO AMORE MISERICORDIOSO. Sac. Salvatore Paparo “. Amatissimo Mons. Luigi, abbracciandolo fraternamente, Le auguro che il Signore Le conceda ancora tantissimi anni di vita PERCHE’ SIA L’APOSTOLO E IL VESCOVO PIU’ ANZIANO DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO III. Sac. Salvatore Paparo Cintano 20 settembre 2013

23 set 2013

XXV DOMENICA PER ANNUM C

22 settembre 2013 OMELIA Oggi Gesù e il profeta Amos ci parlano dei pericoli della ricchezza. Nell’ottavo secolo prima della nascita di Gesù, la Palestina viveva una vita agricola ed era travagliata da una grave disuguaglianza sociale ed economica: da una parte c’erano i ricchi che diventavano sempre più ricchi sfruttando i poveri; e dall’altra parte c’erano i poveri che diventavano sempre più poveri perchè sfruttati dai ricchi. Il profeta Amos, in nome di Dio, rimproverò severamente i ricchi, ed in modo particolare i commercianti disonesti. Denunziò anche la loro falsa religiosità e disse loro: “Sì, è vero che in giorno di festa non aprite il negozio per osservare il riposo sabatico prescritto dalla Legge di Mosè; sì, è vero, voi la festa andate a pregare nella sinagoga; ma Dio non può gradire questa vostra religiosità perché, trascorsa la festa, vendete il grano scadente, aumentate i prezzi ingiustamente, falsificate le bilance. Non solo, ma la vostra ingordigia arriva al punto da prendere in pegno i poveri che non possono pagare quanto hanno acquistato e poi non vi vergognate di venderli come schiavi”. La parabola di Gesù che San Luca ci ha ricordato nel brano evangelico, abitualmente viene denominata “La parabola dell’amministratore disonesto. Ma più precisamente dovrebbe chiamarsi “La parabola dell’amministratore furbo”. Gesù, infatti, pone in rilievo l’abilità con cui l’amministratore ha saputo liberarsi dai suoi guai; e il padrone loda l’amministratore perchè aveva agito con scaltrezza. In verità, l’operato dell’amministratore fu molto scaltro: diminuendo i debiti di grano e di olio, si fece degli amici tra i debitori del suo padrone, i quali, una volta licenziato, lo accolsero nella loro casa e così si salvò dalla miseria. La parabola sulla quale stiamo riflettendo, ci impartisce una grande lezione: ci ricorda che noi non siamo i proprietari di quanto possediamo ma solo gli amministratori. Il padrone è Dio e a Lui un giorno dovremo rendere conto della nostra amministrazione. Per quanto riguarda il denaro che abbiamo, la volontà di Dio è che tratteniamo per noi solo la quantità di cui necessitiamo per vivere una vita dignitosa. Tutto il resto non appartiene a noi, ma ai poveri. Ad essi dobbiamo ditribuirlo perché siano sempre più meno poveri e, possibilmente, vincano del tutto la loro povertà. Sac. Salvatore Paparo

17 set 2013

VENTUNESIMA LETTERA

AL SIGNORE GESU’ RISORTO, BUON PASTORE, UNICO SALVATORE DEL MONDO. Amatissimo mio Gesù, costato, con somma gioia, che Papa Francesco, docile alla voce dello Spirito Santo, pensa, parla ed agisce secondo le attese del Concilio Ecumenico Vaticano III. Adesso non gli resta che, favorito dagli eccezionali mezzi di comunicazione sociale moderni, organizzare la Chiesa, dialogando anche con tutti gli uomini e con tutte le donne di buona volontà, in modo che si arrivi presto alla Pace Mondiale Messianica che gradualmente preparerà “I CIELI NUOVI E LA TERRA NUOVA”. Il tuo piccolo Gesù Sac. Salvatore Paparo Cintano 16 settembre 2013

14 set 2013

Il Papa fa aprire i conventi

IL PAPA: APRIRE I CONVENTI VUOTI AI RIFUGIATI Francesco visita il Centro Astalli che nel cuore di Roma assiste e nutre coloro che fuggono da guerre e violenze ANDREA TORNIELLI ROMA «I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati». Lo ha detto alzando gli occhi dal testo scritto Papa Francesco, nel corso della sua visita al Centro Astalli, il luogo nel cuore di Roma che accoglie, nutre e aiuta rifugiati. Qui da oltre trent'anni vengono assistite persone arrivate in Italia che fuggono da guerre, violenze e torture. Francesco teneva molto a questo appuntamento, che prosegue in qualche modo la sua visita a Lampedusa: com'è nella tradizione più antica del vescovo di Roma, i poveri e i perseguitati sono al centro della sua attenzione. Francesco è arrivato al Centro Astalli alle 15.25, a bordo di una Ford Focus blu, senza scorta e senza segretario al seguito. Il Papa ha salutato già fuori molti di coloro che aspettavano di poter consumare il pasto. Poi è entrato in mensa e si è avvicinato agli ospiti che stavano mangiando e poi si è trattenuto con una ventina di rifugiati. Ha ascoltato le loro terribili storie, particolarmente toccante quella di Carol, siriana. Ha sottolineato alcuni passaggi di ciò che aveva ascoltato, affermando che l'integrazione «è un diritto». Dopo un breve momento di preghiera nella cappellina del Centro Astalli, e dopo aver salutato tutto il personale - gli è stato offerto anche del mate - il Papa si è spostato nella vicina chiesa del Gesù, dove ha incontrato 250 volontari che prestano servizio in quattro centri di accoglienza gestiti dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. «Servire, che cosa significa? Servire - ha detto Francesco - significa accogliere la persona che arriva, con attenzione; significa chinarsi su chi ha bisogno e tendergli la mano, senza calcoli, senza timore, con tenerezza e con comprensione, come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli apostoli». «Servire significa lavorare a fianco dei più bisognosi, stabilire con loro innanzitutto relazioni umane, di vicinanza, legami di solidarietà». Solidarietà, ha aggiunto Francesco, «questa parola che fa paura al mondo più sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra Parola! Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione». « Per tutta la Chiesa - ha detto ancora il Papa - è importante che l’accoglienza del povero e la promozione della giustizia non vengano affidate solo a degli “specialisti”, ma siano un’attenzione di tutta la pastorale, della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, dell’impegno normale di tutte le parrocchie, i movimenti e le aggregazioni ecclesiali». Francesco ha poi pronunciato parole molto forti invitando le congregazioni religiose e non tenere i conventi vuoti. « In particolare – e questo è importante e lo dico dal cuore – in particolare vorrei invitare - ha detto -anche gli Istituti religiosi a leggere seriamente e con responsabilità questo segno dei tempi. Il Signore chiama a vivere con più coraggio e generosità l’accoglienza nelle comunità, nelle case, nei conventi vuoti…». «Carissimi religiosi e religiose - ha aggiunto il Papa - i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati. Il Signore chiama a vivere con generosità e coraggio la accoglienza nei conventi vuoti. Certo non è qualcosa di semplice, ci vogliono criterio, responsabilità, ma ci vuole anche coraggio. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire» «Superare la tentazione della mondanità spirituale - ha concluso il Pontefice - per essere vicini alle persone semplici e soprattutto agli ultimi. Abbiamo bisogno di comunità solidali che vivano l’amore in modo concreto! Ogni giorno, qui e in altri centri, tante persone, in prevalenza giovani, si mettono in fila per un pasto caldo. Queste persone ci ricordano sofferenze e drammi dell’umanità. Ma quella fila ci dice anche che fare qualcosa, adesso, tutti, è possibile. Basta bussare alla porta, e provare a dire: “Io ci sono. Come posso dare una mano?”». Il Papa alla fine ha accompagnato una famiglia di rifugiati a offrire un omaggio floreale sulla tomba di padre Pedro Arrupe, che fu generale dei gesuiti.

Papa Francesco a Repubblica

Papa Francesco scrive a Repubblica: "Dialogo aperto con i non credenti" Il Pontefice risponde alle domande che gli aveva posto Scalfari su fede e laicità. "E' venuto il tempo di fare un tratto di strada insieme". "Dio perdona chi segue la propria coscienza" di FRANCESCO PREGIATISSIMO Dottor Scalfari, è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto. La ringrazio, innanzi tutto, per l'attenzione con cui ha voluto leggere l'Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell'intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l'ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l'ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce "un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth". Mi pare dunque sia senz'altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo. Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza - come si richiama nelle pagine iniziali dell'Enciclica - deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d'ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d'impronta illuminista, dall'altra, si è giunti all'incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro. La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell'esistenza del credente: ne è invece un'espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un'affermazione a mio avviso molto importante dell'Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell'amore - vi si sottolinea - "risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo. La fede, per me, è nata dall'incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l'accesso all'intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa - mi creda - non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità. Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell'ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme. Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell'editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso - o se non altro mi è più congeniale - andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall'Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all'esperienza storica di Gesù di Nazareth. Osservo soltanto, per cominciare, che un'analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell'Enciclica, di fermare l'attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell'Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione. Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo "scandalo" che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria "autorità": una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è "exousia", che alla lettera rimanda a ciò che "proviene dall'essere" che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire - egli stesso lo dice - dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa "autorità" perché egli la spenda a favore degli uomini. Così Gesù predica "come uno che ha autorità", guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona... cose tutte che, nell'Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: "Chi è costui che...?", e che riguarda l'identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un'autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l'incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine. Ed è proprio allora - come esclama il centurione romano ai piedi della croce, nel Vangelo di Marco - che Gesù si mostra, paradossalmente, come il Figlio di Dio! Figlio di un Dio che è amore e che vuole, con tutto se stesso, che l'uomo, ogni uomo, si scopra e viva anch'egli come suo vero figlio. Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l'ha rifiutato, ma per attestare che l'amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono. La fede cristiana crede questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell'amore. Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell'incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva "caro cardo salutis", la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza. Perché l'incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell'amore e nella fedeltà all'Abbà, testimonia l'incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell'Enciclica. Sempre nell'editoriale del 7 luglio, Lei mi chiede inoltre come capire l'originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull'incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio. L'originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell'amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell'unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l'esclusione. Certo, da ciò consegue anche - e non è una piccola cosa - quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel "dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare", affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell'Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l'amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all'uomo, a tutto l'uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là. Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo - mi creda - un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l'aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch'io, nell'amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire, con l'apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all'alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell'alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto. Vengo così alle tre domande che mi pone nell'articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che Le sta a cuore è capire l'atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che - ed è la cosa fondamentale - la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell'obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c'è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire. In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità "assoluta", nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l'amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant'è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt'altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: "Io sono la via, la verità, la vita"? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt'uno con l'amore, richiede l'umiltà e l'apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione... assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all'inizio di questo mio dire. Nell'ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell'uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell'uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio - questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! - non è un'idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell'uomo. Dio è realtà con la "R" maiuscola. Gesù ce lo rivela - e vive il rapporto con Lui - come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell'uomo sulla terra - e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno - , l'uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l'universo creato con lui. La Scrittura parla di "cieli nuovi e terra nuova" e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà "tutto in tutti". Egregio Dott. Scalfari, concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all'invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall'Abbà "a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore" (Lc 4, 18-19). Con fraterna vicinanza Francesco

13 set 2013

XXIV domenica per annum

15 settembre 2013 C OMELIA L’evangelista San Luca, giustamente riconosciuto come il cantore della Misericordia di Dio, nel brano evangelico che abbiamo proclamato ci ha ricordato le tre bellissime parabole che ci permettono di comprendere sempre meglio l’amore misericordioso di Dio verso di noi. Le suddette parabole iniziano con questa costatazione di fatto: il peccatore si trova in uno stato di disagio e di tristezza come la pecorella smarrita che, sola, vaga per i monti e che ad un certo punto resta impigliata tra le spine dei rovi che la fanno sanguinare e la costringono ad emettere dei belati di dolore e di invocazione di aiuto; il peccatore si trova in uno stato di disagio e di tristezza come il figliolo prodigo che, allontanatosi dalla casa paterna, sperpera tutti i suoi soldi, si riduce ad una estrema miseria, soffre i morsi della fame e rimpiange amaramente il benessere perduto. Dalla suddetta costatazione di fatto le tre parabole passano a descrivere l’amore misericordioso di Dio che tutto mette in azione per distruggere il nostro peccato e la nostra tristezza: scorgiamo Gesù alla nostra ricerca come quella donna che non va a prendere sonno fino a quando non ritrova la sua dramma perduta; scorgiamo Gesù, Buon Pastore, che non teme le fatiche della montagna pur di riportare all’ovile la pecorella smarrita; scorgiamo Gesù nel padre che spesso sale sulla terrazza della sua casa e punta lontano i suoi occhi nella speranza mai spenta di rivedere e di riabbracciare il suo figliolo traviato. Dinanzi a Gesù che ci cerca per ritrovarci dobbiamo assumere l’atteggiamento dell’Apostolo Paolo che scrisse così al vescovo Timoteo: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io, io che ero un bestemmiatore, un persecutore, un violento”. Per poterci dire veramente convertiti, però, non è sufficiente riconoscerci peccatori; è necessario anche mutare vita come San Paolo che potè testimoniare di sé quanto segue: “ Mi è stata usata misericordia e la grazia del Signore nostro in me non è stata inutile: per Gesù, infatti, viaggio continuamente, accetto con gioia le persecuzioni, la la fame e la sete; per Gesù predico anche se sono incatenato perché la parola di Dio non può essere incatenata; per Gesù mi sono lasciato flagellare e lapidare; per Gesù sono ricercato a morte come se fossi un malfattore”. La nostra conversione, dunque, deve portare i suoi frutti pratici. Certo, non possiamo pretendere che la nostra vita sia modellata su quella di San Paolo. Infatti, le situazioni di vita in cui noi viviamo sono molto differenti da quelle in cui visse San Paolo. Tutti, però, dobbiamo agire in modo da poter affermare come lui: “Mi è stata usata misericordia, e la grazia de Signore in me non è stata inutile: non è stata inutile perché sento bisogno di pregare e durante la giornata parlo spesso con il Signore; non è stata inutile perché sono un convinto praticante; perché dinanzi ai poveri, ai bisognosi e ai sofferenti sento viva compassione per loro e cerco, secondo le mie possibilità, di sollevare le loro sofferenze; non è stata inutile perché stimo tutte le persone e non mi permetto di giudicarle e di condannarle; non è stata inutile perché quando sono offeso o danneggiato non cerco la vendetta, ma imito Gesù che perdonò i suoi stessi crocifissori, scusandoli: “Padre, perdona loro pechè non sanno quello che fanno”. Concludo ripetendo quanto San Paolo ci ha detto nella seconda lettura sulla sua conversione: “Mi è stata usata misericordia perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù”. Sac. Salvatore Paparo

11 set 2013

DIO UMILIA I SUPERBI ED ESALTA GLI UMILI

XXII DOMENICA PER ANNUM C 1 SETTEMBRE 2013 OMELIA Il vangelo di oggi ci riferisce che Gesù, invitato ad un pranzo, notò due stonature di grande rilievo: la prima riguardava gli invitati, la seconda il capo dei farisei che aveva organizzato il pranzo. Notò, cioè, che gli invitati gareggiavano per occupare i primi posti; e notò anche che il padrone di casa aveva esteso l’invito solo a persone ricche. Gesù rimproverò severamente sia gli invitati sia il padrone di casa. Ai commensali disse: “Non cercate i primi posti ma gli ultimi: perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. “E tu, disse poi al padrone di casa, hai fatto molto male ad invitare solo i ricchi per ottenere il contraccambio. In seguito invita piuttosto i poveri che non possono contraccambiarti. Riceverai così la ricompensa alla risurrezione dei giusti”. In altre parole Gesù condanna la superbia e l’agire interessato; e raccomanda l’umiltà e l’agire disinteressato. San Bernardo elenca così alcune manifestazioni della superbia, odiosa dinanzi agli occhi di Dio e dinanzi agli occhi degli uomini: “Ti signoreggia la superbia del cuore per cui tu non pensi che a te e alle tue virtù. Ti signoreggia la superbia della bocca per cui parli bene solo di te e delle tue cose, mentre degli altri e delle loro cose sai soltanto criticare. Ti signoreggia la superbia dell’azione per cui tu cerchi il primo posto e fai il bene per essere lodato”. Quelle elencate sono alcune manifestazioni della superbia. E quali ne sono le conseguenze? La superbia attira l’ira di Dio: Dio resiste ai superbi e li umilia. Basta citare due impressionanti esempi che la storia ha registrato: Alessandro Magno si faceva chiamare “FIGLIO IMMORTALE DI DIO”. Colpito, però, da una freccia, mentre moriva capì la stoltezza della sua superbia ed esclamò: “Tutti mi chiamano immortale: ma questa ferita e questo sangue gridano altamente che anch’io sono un uomo mortale”. Napoleone Bonaparte si credeva un dio dominatore del mondo ed onnipotente. Non temette neanche la scomunica del Papa; anzi ridicolizzò il Papa stesso: “La tua scomunica, gli disse, non farà cadere le armi dalle mani dei miei soldati”. In un primo momento sembrò che Napoleone avesse ragione: nel 1812, infatti, entrò da trionfatore a Mosca e gonfio di sé fece coniare una medaglia commemorativa in cui da una parte c’era la sua testa, e dall’altra parte la seguente iscrizione riferita a Dio: “IL CIELO E’ TUO, LA TERRA E’ MIA”. Ben presto, però, Napoleone costatò la sua pochezza: fu vinto dai Russi e durante la ritirata, per l’intenso freddo, le armi caddero realmente dalle mani dei suo soldati. Non solo, ma Napoleone finì la sua vita ingloriosamente, esiliato nell’isola di Sant’Elena. Dio, dunque, umila i superbi, umila coloro che si credono qualcosa mentre siamo tutti polvere. E come Dio tratta coloro che agiscono per vanagloria? Considera il bene da loro fatto come se non l’avessero fatto e non dona loro alcuna ricompensa. Dice, infatti, Gesù: “Guardatevi dal fare il bene per essere visti dagli uomini, altrimenti non avrete ricompensa dal Padre vostro che è nei Cieli. Coloro che agiscono per essere lodati dagli uomini hanno già ricevuto la loro ricompensa”. Il bene che facciamo, dobbiamo farlo per amore di Dio e del prossimo; non dobbiamo sbandierarlo ai quattro venti ma tenerlo, il più possibile, nascosto; e Dio che vede nel segreto ce ne darà la ricompensa. Sac. Salvatore Paparo

6 set 2013

FESTA DELLA NATIVITA’ DI MARIA SANTISSIMA

7-8 settembre 2013 Preghiamo, perché Maria Santissima che oggi festeggiamo nella sua gioiosa NATIVITA’, REGINA DELLA PACE, ci ottenga presto dalla Famiglia Trinitaria di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo, LA PACE MONDIALE MESSIANICA, profetizzata sulla grotta di Betlem, e da LEI confermata a Fatima e a Medjugorje: “ALLA FINE IL MIO CUORE IMMACOLATO TRIONFERA’ ED IL MONDO AVRA’ UN PERIODO DI PACE”, Preghiamo, ASCOLTACI, SIGNORE. AMEN.

3 set 2013

E’ GIUNTA L’ORA

Amatissimo mio Gesù Risorto, Buon Pastore e Unico Salvatore del mondo, è giunta l’ora, l’ora della fine di tutte le guerre fratricide, l’ora dell’inizio della Pace Mondiale Messianica che gradualmente preparerà “I CIELI NUOVI E LA TERRA NUOVA”. Il diavolo e i suoi figli stanno attuando il disperato sforzo di distruggere il mondo intero e tutta l’umanità con la guerra e il terrorismo, frutto del loro egoismo e del loro odio. E’ tempo che tutti i figli di Dio ci uniamo per aiutare Te e Maria Santissma, Regina della pace, perché il diavolo e i suoi figli siano definitivamente sconfitti. E per aiutarvi c’è un unico mezzo: CONVERTIRCI ALL’AMORE. Con l’aiuto della Famiglia Trinitaria di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo, e della Sacra Famiglia di Nazaret, dobbiamo vincere il nostro egoismo e il nostro odio, e imitare Te ponendoci a servire come Te i nostri fratelli e le nostre sorelle. Ha fatto bene Papa Francesco a chiedere per il sette settembre prossimo, vigilia della festa della Natività di Maria Mantissima, una giornata di digiuno e di preghiera per accelerare l’avvvento della PACE MONDIALE MESSIANICA. Il tuo piccolo fratello Sac. Salvatore Paparo Cintano 3. 9. 2013

2 set 2013

Amatissimi lettori e lettrici

del blog dell’Opera Cenacolo Familiare, ad un anno esatto dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini, oggi 31 agosto 2013, ricevo la rivista “Famiglia Cristiana” n. 35 1° settembre 2013. La trovo molto interessante e vi riferisco quanto di più importante la rivista ha pubblicato sul cardinale. Sulla copertina leggo: “CARLO MARIA MARTINI AD UN ANNO DALLA SCOMPARSA SI AVVERA IL SUO SOGNO DI UNA NUOVA CHIESA IL CARDIANALE CHE ANNUNCIO’ PAPA FRANCESCO Alla pagina 8 “Colloqui col Padre”, Giovanni T. Padova, fra l’altro scrive: “Il 31 agosto, sul finire dell’estate, il cardinale Martini ha lasciato la vita terrena e ci ha consegnato, come eredità preziosa, un sogno: quello di una Chiesa più accogliente, che va incontro alle persone senza giudicarle, che non sale in cattedra ma preferisce sedersi a tavola con tutti. Una Chiesa più sinodale, sempre in cammino e, quindi, bisognosa di strutture più leggere. Più povera e più libera, disposta a rischiare. Un sogno che viene da lontano, coltivato da almeno mezzo secolo con le speranze del Concilio Vaticano II. E che, con la scomparsa di Martini, sembrava svanito o proiettato in un futuro distante. Invece, dopo appena due stagioni, sul finire dell’inverno, è arrivata la coraggiosa decisione di Ratzinger. Poi, l’elezione di Bergoglio, gesuita come Martini, con un nome che è già un programma: Francesco. E ancora una serie impressionante di gesti, tutti nella direzione sognata da Martini” “Quel che sta succedendo nella Chiesa è bello. Dà gioia e speranza a tanta gente. La fede muove le persone a riconoscersi come fratelli e abbracciarsi. Un nuovo atteggiamento che rende tutto diverso”. “Come fu per Gesù e per gli Apostoli, sempre in cammino verso nuovi incontri. Come fu per i profeti e anche per Martini. Anch’egli, come Mosè, non vide “la terra promessa”, ma si fermò vicino alla meta, ad appena due stagioni di distanza. Nell’ultima sua intervista disse: “Consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo Spirito possa diffondersi ovunque”. La Chiesa che sta arrivando è quella sognata da Martini? Io spero di sì”. Risposta di don Antonio Sciortino: “Non so se il sogno del cardinale Martini si sia avverato. Di certo se fosse vivo oggi non gli dispiacerebbe la nuova Chiesa di papa Francesco, un gesuita come lui ed entrambi candidati nel Conclave del 2005 per la successione a Giovanni Paolo II. Pochi giorni prima di morire, nell’agosto dello scorso anno, il cardinale Martini rilasciò un’intervista a padre Sporschill, pubblicata sul Corriere della Sera, una sorte di testamento spirituale che suscitò un ampio dibattito. In quel testo il cardinale denunziava il ritardo della Chiesa su tante questioni aperte, che ancora attendono risposta. “La Chiesa, disse, è indietro di duecento anni” a significare come avesse perso l’ottimismo, la freschezza e lo slancio che lo caratterizzavano negli anni del Concilio Vaticano II”. “La Chiesa, diceva, deve avere la forza di riconoscere i propri errori e percorrere un cammino di radicale cambiamento, cominciando dal papa e dai vescovi”. Ad un anno dalla sua morte, il messaggio di Martini è quanto mai vivo e attuale. La rivista “Famiglia Cristiana”, alla pagina 50 pubblica un articolo del vescovo Bruno Forte su Carlo Martini, intitolato “IL CARDINALE CHE ANNUNCIO’ FRANCESCO”. Trascrivo quanto reputo sia più importante: “Quale eredità possiamo raccogliere dal Cardinale Carlo Maria Martini a un anno dalla sua morte? Proverò a rispondere a questa domanda riferendomi ad un’idea a lui cara, centrale nella spiritualità e nella lingua di sant’Ignazio di Loyola: l’idea DELLA RIVERENZA. In Martini la riverenza verso il divino si concretizzava nell’amore alla Parola di Dio: è questo che spiega la cura con cui egli accostava il testo biblico ed è ciò che fa capire come il cardinale non si fermasse ad una lettura solamente filologica delle Scitture, ma avvertisse l’urgenza di nutrirsi della Parola di vita, affinchè essa inondasse della sua luce tutti gli spazi dell’anima”. “E’ ancora l’atteggiamento della riverenza quello che ispirava i rapporti ecclesiali di Carlo Maria Martini: non si trattava solo del rispetto dovuto ai superiori religiosi o della profonda venerazione da lui nutrita verso il successore di Pietro, ma anche della sua attenzione a ogni membro del popolo di Dio, quale che fosse la sua età o reponsablità o maturazione nella vita di fede. Un passaggio degli Esercizi Spirituali di Ignazio fa ben comprendere che cosa significhi ispirare questi rapporti alla riverenza: “Un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla , cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la difende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi”. Chi ha conosciuto il cardinale sa come ciascuno di questi passi fosse da lui scrupolosamente osservato. Da quest’atteggiamento di rispetto derivava in Martini il desiderio di una maggiore collegialità nella vita ecclesiale: non si trattava in alcun modo di una pretesa anti gerarchica o ispirata da quello che Balthasar aveva definito l’affetto anti romano”. L’arcivescovo di Milano era profondamente convinto del ruolo decisivo del successore di Pietro nel confermare i fratelli: il maggiore sviluppo della collegialità, da lui auspicato, voleva essere precisamente un aiuto all’esercizio il più possibilie snello ed efficace del ministero petrino, oltre che una via per favorire l’effettiva sollecitudine per tutte le Chiese, di cui ogni vescovo è partecipe nel collegio episcopale. Nei rapporti, poi, con l’insieme del popolo di Dio quest’atteggiamento di rispetto per tutti si traduceva nella volontà di promuovere la “sinodalità” intesa come partecipazione e corresponsabilità di ogni battezzato, secondo il dono ricevuto e il ministero esercitato, nei processi decisionali e nelle realizzazioni pastorali della Chiesa. Una comunità dove tutti si sentissero responsabili e ognumo lo fosse effettivamente in accordo con la vocazione ricevuta da Dio: tale era il popolo dei battezzati nel “sogno” di questo grande successore di Ambrogio. Infine, l’atteggiamento ignaziano della riverenza era alla base anche del modo di porsi di Martini nei confronti della cosidetta cultura laica, dei non credenti e di tutti i possibili cercatori di Dio: il cardinale sapeva accogliere tutti, non imporsi a nessuno. Allo stesso tempo, ascoltando le ragioni dell’altro, sapeva crescere nella consapevolezza del dono di credere e riusciva a camminare con l’altro, senza forzature nè compromessi, sui sentieri di obbedienza alla verità. La “Cattedra dei non credenti” è stata una scuola di esercizio reciproco della riverenza per tutti, credenti e non credenti, e proprio per questo un luogo di incontri sorprendenti di approdi luminosi, di scoperte salutari. Resta da chiedersi se quanto si è detto aiuti a valutare la prossimità o la lontananza del cardinale da papa Francesco. Le diversità sono evidenti: espressione del Nord del mondo l’uno, dalla tipica cultura europea, raffinato cultore di scienze bibliche, perfino aristocratico nell’espressione che suscitava in chi non lo conoscesse, data la sua innata timidezza; venuto “dalla fine del mondo” l’altro, espressione dell’anima latinoamericana, dall’umanità calda e comunicativa, dalla cultura vasta e insieme legata all’esperienza del servizio alle periferie geografiche ed esistenziali, testimone convinto della scelta preferenziale dei poveri e della povertà come stile di vita. Eppure fra questi due poli, il legame mi sembra fortissimo: esso sta proprio nell’identità spirituale plasmata alla scuola di Ignazio e della riverenza. In questo senso, tanto sul piano del primato di Dio, quanto su quello del desiderio di una Chiesa di cristiani adulti e corresponsabili, dove collegialità e sinodosità siano di casa e dove oguno possa sentirsi accolto e amato, Bergoglio e Martini sono vicinissimi, fino a poter intravedere nel Papa che Dio ha voluto oggi per la sua Chiesa la realizzazione della speranza e della preghiera, sulla quale si era chiusa appena ieri – come una soglia affacciata al domani – la vita del grande successore di Ambrogio “. Bruno Forte A cura del sacerdote Salvatore Paparo Cintano 31 agosto 2013