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14 ott 2009

IL CRISTIANESIMO

Cintano 30 agosto 2009

VENTIDUESIMA DOMENICA DURANTE L’ANNO B


La pagina evangelica di oggi che parla delle purità rituali in uso presso gli Ebrei e della forte posizione di Gesù contro quest’uso, mi suggerisce di leggervi un illuminante articolo di Alberto Maggi, ottimo biblista cattolico ancora in piena attività evangelizzatrice.

Il titolo dell’articolo è


IL CRISTIANESIMO

NON E’ UN LIBRO


Articolo di Alberto Maggi

Agosto 2005



Per più di quindici secoli la dottrina della chiesa cattolica si è basata sulla “VULGATA” , la traduzione latina del Nuovo Testamento voluta da papa Damaso. Quest’opera, per quanto ammirevole e straordinaria, non fu però esente da errori.Le imprecisioni e gli sbagli nella traduzione e nell’interpretazione del testo originale greco determinarono, a volte tragicamente, la storia della chiesa.


ERRORE FATALE


Uno degli errori di traduzione che influì negativamente nella teologia della chiesa, riguarda il discorso di Gesù sul “BUON PASTORE” (Gv. 10,11-16). Il traduttore confuse il termine OVILE della prima parte del versetto 16 ( “ E HO ALTRE PECORE CHE NON PROVENGONO DA QUESTO OVILE [aulès] “ con il termine GREGGE della seconda parte ( “ E SARANNO UN SOLO GREGGE [poimnè], UN SOLO PASTORE” ), e anziché tradurre il termine greco poimnè (GREGGE) con il latino GREX, lo rese con OVILE: “E SARANNO UN SOLO OVILE, UN SOLO PASRORE”.


Mentre il testo di Giovanni indicava che per Gesù era finita l’epoca dei recinti, per quanto sacri potessero essere, e per questo liberava le pecore dall’ovile per formare un unico gregge, secondo la traduzione latina Gesù liberava sì le pecore dall’ovile del giudaismo, ma per poi rinchiuderle nuovamente nell’unico e definitivo ovile, quello della chiesa cattolica.


Forte dell’insegnamento del suo Signore, per secoli la chiesa pretese di essere l’unico ovile voluto dal Cristo e formulò l’efficace slogan “EXTRA ECCLESIAM NULLA SALUS”, sancendo che “FUORI DELLA CHIESA NON ESISTE SALVEZZA”. La chiesa cattolica pertanto considerò dannati per sempre tutti i cristiani delle chiese ortodosse e protestanti, insieme agli ebrei, ai musulmani e ai credenti delle altre religioni: in pratica tre quarti dell’umanità.


Nel secolo scorso il ritorno al testo originale greco del Nuovo Testamento, portò ad una maggiore comprensione dell’insegnamento del Cristo e il Concilio Vaticano II, dichiarò che “DIO, COME SALVATORE VUOLE CHE TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVI. INFATTI, QUELLI CHE SENZA COLPA IGNORANO IL VANGELO DI CRISTO E LA SUA CHIESA, E TUTTAVIA CERCANO SINCERAMENTE DIO, E COLL’AIUTO DELLA GRAZIA SI SFORZANO DI COMPIERE CON LE OPERE LA VOLONTA’ DI DIO, CONOSCIUTA ATTRAVERSO IL DETTAME DELLA COSCIENZA, POSSONO CONSEGUIRE LA SALVEZZA ETERNA”.


Con questa importante dichiarazione, il Concilio ammise che la salvezza esisteva non solo anche nelle altre confessioni cristiane e nelle altre religioni, ma persino tra i non credenti che ascoltano la loro coscienza.


Non potendo più rivendicare l’esclusivo primato della salvezza, la chiesa si trova ora a dover rispondere all’interrogativo: “PERCHE’ CRISTO?”.


Se fino al secolo scorso si era di fatto obbligati a essere battezzati cristiani e cattolici al fine di salvarsi, ora le nuove generazioni sanno che anche nell’ebraismo e nell’islamismo, solo per citare le due religioni che sembrano essere le più affini al cristianesimo, è possibile salvarsi. Perché Cristo e non Mosè o Maometto?


Tutte le religioni sembrano essere uguali, almeno quelle monoteiste, che invitano a credere in un unico Dio e ogni religione, anche le non monoteiste, insegna il timore e la preghiera verso Dio, l’amore per il prossimo, l’esercizio della carità e il rispetto per gli altri.


Se è dunque vero che tutte le religioni conducono a Dio e quindi alla salvezza, perché mai si dovrebbe scegliere proprio Gesù e il suo impegnativo messaggio? E se si può scegliere, quali sono i criteri che spingono a preferire una religione piuttosto che un’altra, se in fondo sono tutte uguali?


LA NOVITA’ DI GESU’.


E’ diventato usuale definire le religioni monoteiste come le “RELIGIONI DEL LIBRO”, in quanto queste si rifanno a un testo sacro che si ritiene rivelato da Dio stesso. Questo Libro, contenemte la volontà divina, è la norma di comportamento per ogni generazione di credenti, anche se mutano i contesti sociali e le situazioni nelle quali gli uomini si trovano a vivere. Il Libro è la parola definitiva e immutabile data da Dio millenni o secoli fa ai bisogni e agli interrogativi dell’uomo, anche quando questi non riceve una risposta razionale.


E’ POSSIBILE DEFINIRE “RELIGIONE DEL LIBRO” ANCHE IL CRISTIANESIMO?


La novità di Gesù è che il Cristo non ha posto un LIBRO QUALE CODICE DI COMPORTAMENTO DEI CREDENTI, MA L’UOMO.


Non è un Libro rivelato o una Legge ritenuta divina, ciò che il credente deve osservare, ma il bene dell’uomo, che per il Cristo è al di sopra di ogni norma o precetto religioso. Mentre nella religione conta ciò che l’uomo fa per Dio, il cristianesimo nasce da ciò che Dio fa per gli uomini. Se nella religione è importante il sacrificio, nella fede lo è l’amore. Quando ciò non è tenuto presente si rischia di disonorare l’uomo per onorare Dio, come fa il sacerdote protagonista DELLA PARABOLA DEL SAMARITANO (Lc. 10,30-37), il quale trovandosi dinanzi a un ferito, non ha alcun dubbio su quel che deve fare: il rispetto del Libro divino è per lui più importante della sofferenza del moribondo. Per rispettare la Legge, che proibiva a un sacerdote di toccare un ferito (Nm 19,16), sacrifica l’uomo.


Per Gesù non basta che un testo sia considerato sacro, occorre anche che l’uomo venga considerato sacro. Per questo mentre nelle religioni del Libro si sacralizza Dio, Gesù, Parola di Dio, ha reso sacro l’uomo. Quella di Gesù pertanto non può essere definita una RELIGIONE DEL LIBRO ma una FEDE NELL’UOMO.


Se il bene dell’uomo non viene messo al primo posto come valore sacro, non solo i testi dell’Antico Testamento, ma lo stesso vangelo quando non è più a servizio del bene e della felicità degli uomini bensì strumento di potere per sottometterli, è portatore di morte anzichè di vita.


TESTO VIVENTE


Coscienti di trasmettere un messaggio che comunica vita, gli evangelisti non hanno voluto tramandare un testo definitivo e immutabile dell’insegnamento del Signore, ma quello che per almeno i primi quattro secoli del cristianesimo è stato considerato UN TESTO VIVENTE. Ogni comunità cristiana si sentiva autorizzata, in base alla propria esperienza, di apportare quelle modifiche e quegli arricchimenti che riteneva necessari al testo evangelico.


Un esempio evidente di arricchimento del testo evangelico è la fine del capitolo 14 di Giovanni, dove al termine del lungo discorso seguito alla lavanda dei piedi, Gesù dice ai suoi discepoli: “ALZATEVI, ANDIAMO VIA DI QUI “ (Gv. 14,31), Poi, anziché il compimento dell’invito di Gesù, il Signore inizia un lungo discorso che attraversa ben tre capitoli (Gv. 15-17). Queste pagine, pur non appartenendo, all’estensore originale del vangelo ma a un suo redattore più tardo, esprimono la crescita dell’esperienza di Cristo vissuta nella comunità cristiana.


Un altro esempio di un testo, che cresce per rispondere sempre meglio alle esigenze dei credenti riguarda il tema del ripudio. Nel vangelo considerato più antico, quello di Marco, il ripudio viene escluso senza alcuna eccezione: “CHI RIPUDIA LA PROPRIA MOGLIE E NE SPOSA UN’ALTRA COMMETTE ADULTERIO” (Mc 10,11). Nel vangelo di Matteo, nell’identico contesto di Marco, l’espressione di Gesù viene così modificata: “CHI RIPUDIA LA PROPRIA MOGLIE, SE NON PER PORNEIA, E NE SPOSA UN’ALTRA, COMMETTE ADULTERIO” (Mt 19,19) Il rigore espresso da Marco non aveva fatto i conti con i complessi casi che la vita poteva presentare. Per questo nella comunità di Matteo è stata posta un’eccezione al divieto del ripudio. I primi cristiani hanno compreso che non era importante la lettera del vangelo, ma il suo spirito, perché mentre “LA LETTERA UCCIDE, LO SPIRITO INVECE DA’ VITA” (2Cor 3,6).


GESU’ E IL LIBRO


Se le comunità cristiane hanno avuto un atteggiamento di libertà nei confronti del vangeli, è perché si sono sentite in questo autorizzate da Gesù, che nell’insegnamento e nelle azioni ha messo sempre il bene dell’uomo al di sopra di ogni legge o comandamento.


Dai vangeli emerge che ogniqualvolta si è creata una situazione di conflitto tra l’osservanza della legge e il bene dell’uomo, Gesù non ha avuto esitazioni e ha scelto sempre il bene dell’uomo, ed è significativo che la maggior parte delle azioni e delle guarigioni operate da Gesù avvengano proprio nel giorno in cui queste non erano permesse: il sabato. Infatti, fra tutti i comandamenti, il riposo del sabato era considerato il più importante, al punto che lo si riteneva osservato da Dio stesso. In questo giorno la Legge proibiva di compiere qualunque attività (Es 20,8; Ger 17,21-27). L’osservanza di questo comandamento garantiva l’ubbidienza del volere di Dio, e per la sua trasgressione era prevista la pena di morte, in quanto la violazione del sabato equivaleva alla disubbidienza di tutta la legge.


Per Gesù il bene dell’uomo è più importante dell’osservanza dei precetti divini , e non ha avuto alcuna esitazione a guarire le persone in giorno di sabato. Il criterio di quel che è bene e quel che è male, permesso o no, non si basa per Gesù sull’osservanza o no del Libro, ma sulla pratica dell’amore, e l’amore non conosce alcun limite che gli venga posto.


Gesù non solo ha trasgredito le prescrizioni contenute nella Legge, ma ne ha relativizzato l’importanza, attribuendo a Mosè e non a Dio alcune parti della stessa: “PER LA DUREZZA DEL VOSTRO CUORE MOSE’ VI HA PERMESSO DI RIPUDIARE LE VOSTRE MOGLI; ALL’INIZIO PERO’ NON FU COSI’” (Mt.19,8). Secondo la tradizione religiosa, ogni parola della Legge veniva da Dio stesso. Mosè aveva avuto il semplice ruolo di esecutore della volontà di Dio, ed era inaccettabile affermare che alcune parti provenivano da Mosè anziché dal Signore. Per Gesù quel che è scritto nella Legge riguardo al ripudio non manifesta la volontà di Dio, ma un cedimento alla testardaggine del popolo, e quindi non gode di alcuna autorità divina.


Lo scontro più clamoroso tra Gesù e il Libro è stato sul tema, inportantissimo per i Giudei, delle regole di purità rituali. Nel Libro del levitico sono elencati gli animali che si possono mangiare in quanto considerati puri e quelli di cui è proibito cibarsi in quanto ritenuti immondi (Lv 11). Per Gesù la purezza o meno dell’individuo non consiste in quel che mangia, ma nelle sue azioni, smentendo di fatto il Levitico (“COSI’ DICHIARAVA PURI TUTTI GLI ALIMENTI”, Mc 7,19).


GESU’ E IL LIBRO


Il Creatore non si manifesta in un Libro, ma nella vita dell’uomo, non nei codici da osservare, ma nell’amore da accogliere; non chiede obbedienza alla Legge, ma assomiglianza al suo amore (Lc 6,35-36). Mentre la legge non può conoscere la particolare situazione dell’individuo e la sua osservanza può essere causa di sofferenza, lo Spirito del Signore agisce in ognuno individualmente, sviluppando e potenziando quelle che sono le caratteristiche uniche e singolari di ogni individuo.


Nei vangeli le prerogative esclusive della Legge divina, di essere fonte di vita e norma di comportamento degli uomini, vengono trasferite a Gesù. Il Cristo non promulga una Legge esterna che l’uomo deve osservare, ma comunica loro il suo stesso Spirito, un’energia divina interiore che rende gli uomini capaci di amare generosamente cone si sentono amati (Gv. 13,34).


Per il cristiano, il codice di comportamento non riguarda una legge scritta ma l’adesione a una persona vivente: il Cristo, nuova e definitiva Scrittura per tutta l’umanità.


Ciò appare particolarmente chiaro nel vangelo di Giovanni nella crocifissione di Gesù. L’evangelista afferma che Pilato scrisse un cartello con la scritta “GESU’ IL NAZARENO, IL RE DEI GIUDEI”,

e lo fissò sulla croce. Poi Giovanni specifica che il cartello “ERA SCRITTO IN EBRAICO, LATINO E GRECO” (Gv. 19,19.20). L’uso di queste tre lingue, quella degli Ebrei, dei Romani e dei Greci, sta a indicare che Gesù, il Messia dei Giudei, è “IL SALVATORE DEL MONDO” (Gv.4,42).


Le tre lingue parlate nel mondo conosciuto rimandano al tempio di Gerusalemme, dove erano collocate delle lapidi con avvisi scritti in ebraico, in latino e in greco, che avvertivano i pagani di non oltrepassarle sotto pena di morte. Per l’evangelista Gesù è il nuovo santuario dove splende l’amore di Dio e il cui accesso non è interdetto a nessuno; avvicinarsi al Cristo non solo non provoca la morte, ma è la condizione per ricevere la vita.


Ma i capi del popolo protestano con Pilato per la scritta posta sulla croce:”NON SCRIVERE: IL RE DEI GIUDEI, MA: COSTUI HA DETTO: IO SONO IL RE DEI GIUDEI” (Gv.19,21). Ad essi il Procuratore romano risponde: “QUEL CHE HO SCRITTO, HO SCRITTO” (gv.19,22).


Per l’evangelista, lo scritto è ormai stato fissato e non si può più cambiare: Gesù crocefisso è la Scrittura definitiva che ogni uomo può leggere e comprendere, perché il linguaggio dell’amore è universale. Gesù crocefisso è il nuovo Libro nel quale chi sa leggere può scoprire chi è Dio e chi è l’uomo.

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